venerdì 1 dicembre 2017

A come abbraccio, la via più breve tra due cuori ...






Maria Rosanna Cafolla Abbracciami Puntasecca su PVC 


Dedicato a Michele 
i cui abbracci hanno cambiato la vita di molte persone... inclusa la mia. 
 Possiamo solo cantarti  con tutto il cuore quel canto che ti piaceva tanto, anche in arabo 
  ...  شكرا
Grazie, infinitamente Grazie per tutto quello che gratuitamente hai dato. 


Si fa presto a dire abbraccio. Un semplice gesto da sempre presente dell'espressione dell'affettività dell' "essere umano", una manifestazione fisica che ha effetti benefici riconosciuti sia a livello corporeo che psicologico (come per esempio il rilascio di endorfine).(1)
L'abbraccio si può manifestare in vari modi. Possiamo avere un  abbraccio integrale o chiamato anche "fagocitotico"; abbraccio "aperto" stile mamma chioccia, un abbraccio "multiplo" per creare unità e spirito di gruppo in vari ambienti; un  abbraccio di perdono o riconciliazione dopo un conflitto; un abbraccio che supera le incomunicabilità, per esempio quando qualcuno manifesta segni di crisi emotive e infine l'abbraccio passionale che fa risalire energie vitali sopite. Sarebbe infatti più coretto parlare di "abbracci" invece che di "abbraccio".





Ad una riflessione più profonda ed attenta  l'abbraccio è un paradigma che declina una vastissima gamma di realtà, a più livelli.
In questo percorso, spazieremo tra cellule, arte, cosmo e spiritualità cercando di "abbracciare l'abbraccio " in tutti i suoi significati.


L'abbraccio: creazione di uno spazio vitale


Volendo volare con la mente e riflettere sul significato esteso della parola "abbraccio", possiamo sottolineare in esso il concetto di "circondare" o "cingere". Come biologa, la prima cosa che mi viene incontro nei miei pensieri a tal proposito è la cellula, che altro non è che una delimitazione di uno spazio chiuso, un microcosmo dove è possibile intraprendere il primo passo verso l'esistenza.
D'altronde, ai primordi della vita, con una visione un po' "Biosofica" o "Biopoetica", la cellula è nata da un abbraccio, o meglio da una schiera ordinata di molecole che si "abbracciano".
Mi spiego meglio: tutti noi sappiamo che la membrana che delimita le nostre cellule, la membrana cellulare, permette l'instaurarsi di un ambiente chiuso  che contiene tutti gli organuli necessari per la vita cellulare. Se dissotterriamo le rimembranze liceali, molti ricorderanno che questa membrana è formata da una schiera di molecole chiamate fosfolipidi, formate da una "testa" e da una "coda" che si dispongono una di fronte all'altra per un  gioco di interazioni chimiche. Queste "code" fin dai tempi dell'Università, mi hanno sempre ricordato due braccia che protendono verso altre braccia.


Raffigurazione di una membrana plasmatica 

Insomma, tante molecole che protendono nell'abbracciarsi disposte in una schiera ordinata che delimita l'unità fondamentale della vita. Proseguendo la metafora biologica, possiamo dire che così come la cellula è l'unità fondamentale della vita, l'abbraccio è l'unita fondamentale della nostra affettività.
Come tante cellule vanno a formare dapprima tanti tessuti e in seguito tanti organi, i nostri abbracci nel corso della nostra vita vanno a formare un vero e proprio tessuto esistenziale, un "humus" da cui nasceranno e svilupperanno e intesseranno gli elementi fondamentali del nostro Essere, quali accettazione e riconoscimento della nostra identità, autostima, espressione dei nostri sentimenti.

Il primo abbraccio non si scorda mai. 

A ben pensarci tutti noi proveniamo da un abbraccio. L'abbraccio di chi ci ha generato, l'abbraccio fecondo dei nostri genitori. Da quell'abbraccio intriso di eros, passione e fecondità, nasce una relazione che rimarrà unica ed imperitura. L'abbraccio materno nel grembo femminile è un abbraccio pieno, totalitario, intessuto da scambi continui tra madre e figlio. Un lungo abbraccio di nove mesi, nel quale tutto il corpo partecipa alla creazione di un ambiente vitale. Un dialogo ininterrotto con un linguaggio sorprendente, inaspettato. In questa comunicazione tra due interlocutori che non si vedono ma si sentono e si vivono vicendevolmente, lo scambio di informazioni si manifesta con un flusso ininterrotto di molecole chimiche, sentimenti, emozioni: è l'abbraccio è vita, è creazione di un microcosmo di pace, sicurezza, serenità.
Come dimenticare l'abbraccio materno? Un abbraccio viscerale che negli anni non perde mai il suo sapore ancestrale.



 

L' abbraccio ispira, dalla poesia all'architettura passando per la pittura.

L'abbraccio ha da sempre ispirato poeti, pittori, artisti di ogni tipo.Vista la sua grande potenzialità comunicativa, l'abbraccio rappresenta una eccellente raffigurazione di una lunga serie di messaggi da trasmettere, come amore, accoglienza, ascolto, perdono. I significati di un abbraccio possono essere vari, come ci ricorda Pablo Neruda.



Quanti significati sono celati dietro un abbraccio? 

Che cos’è un abbraccio se non comunicare, condividere

e infondere qualcosa di sé ad un’altra persona?

Un abbraccio è esprimere la propria esistenza
a chi ci sta accanto, qualsiasi cosa accada,
nella gioia e nel dolore.
Esistono molti tipi di abbracci,
ma i più veri ed i più profondi
sono quelli che trasmettono i nostri sentimenti.
A volte un abbraccio, 

quando il respiro e il battito del cuore diventano tutt’uno, 
fissa quell’istante magico nell’eterno. 

Altre volte ancora un abbraccio, se silenzioso,

fa vibrare l’anima e rivela ciò che ancora non si sa

o si ha paura di sapere.
Ma il più delle volte un abbraccio
è staccare un pezzettino di sé
per donarlo all’altro
affinché possa continuare il proprio cammino meno solo”
Pablo Neruda“Poesie D’Amore E Di Vita”



Innumerevoli sono gli artisti che hanno raffigurato di abbracci. Abbracci tra amanti, tra madri, come quelli meravigliosi e variopinti di Klimt. Abbracci di tenerezza, che esprimono tutta quella morbidezza, propensione alla cura e protezione di cui solo le madri sono capaci.






Abbracci di perdono, riconciliazione, come quello tra padre e figlio di Rembrant, prendendo spunto dalla parabola del figliol prodigo. Abbracci mascolini pudici, riservati come da codice di intimità maschile prevede, ma non per questo meno commoventi  












Ma l'abbraccio non si limita ad essere rappresentato solo con pittura e scultura. Possiamo estendere il concetto di abbraccio ad una dimensione più ampia che considera non solo due singoli ma una dimensione collettiva e sociale. Un esempio pratico di ciò è nella nostra splendida città di Roma. 
Ogni turista che si affaccia a piazza San Pietro, si sente dire che il colonnato è stato costruito come simbolo dell'abbraccio della Chiesa nel mondo. Questa bella immagine poetica, è solo la punta dell'iceberg. In un bell'articolo di Antonio Venditti (1), vengono spiegate le intenzioni del Bernini. Non solo un abbraccio tout court di accoglienza, ma l'abbraccio di San Pietro crocefisso con la cupola per mitra in quanto primo Vescovo. Insomma, come dire, la Chiesa sofferente nel sangue dei martiri  che abbraccia l'Umanità anch'essa sofferente. 





schizzo del Bernini (2)



Abbraccio e spiritualità: il circolo della Vita. 

In diverse religioni, sono numerosi i riferimenti sia diretti che indiretti agli abbracci. I devoti della Madonna meditando i misteri del Santo Rosario non fanno altro che contemplare una serie di abbracci: l'abbraccio caritatevole tra Maria e Santa Elisabetta, l'abbraccio materno e paterno della Sacra Famiglia alla nascita di Gesù bambino, l'abbraccio di Simeone nella presentazione di Gesù al tempio, l'abbraccio che indubbiamente hanno dato i genitori di Gesù al loro figlio ritrovato tra i dottori del tempio dopo averlo smarrito per tre giorni, l'abbraccio pietoso di Maria deponendo il corpo del suo Divin Figlio dalla Croce.

Beato Angelico - La visitazione 

La natura circolare poi dell'abbraccio apre la mente a una serie di riflessioni,che ci possono portare a una miriade di accostamenti e speculazioni. Ci basti pensare per esempio alla simbologia in alcune religioni orientali per esempio nei Mandala o alla danza del Cosmo dei Sufi.


Abbracciami. M.R Cafolla 




La circolarità dinamica dell'abbraccio come la immagino io trova esatta rappresentazione in "Abbracciami" di Maria Rosaria Cafolla. Questo guizzo dinamico e tondeggiante sembra quasi voler avviluppare e custodire le più intime emozioni, come a voler iniziare un ciclo di un movimento attivo e vitale. "Abbracciami" sembra voler avvolgere la nostra più profonda interiorità, portandoci ad un sentimento di confidenza e di abbandono come se fossimo rilassati in braccia familiari. Questo tema della circolarità e del dinamismo lo ritroviamo nei danzatori Sufi. La simbologia di questa danza non è solo data dal luogo comune collettivo di "arrivare all'estasi". Si tratta anche di un esercizio di auto-consapevolezza di sé e di acquisizione di un'imperturbabilità interiore. I danzatori Sufi, come potete vedere nel video, iniziano la loro danza con una posizione in cui ciascuno abbraccia se stesso, con la mano sinistra sulla spalla destra e con la mano destra sulla spalla sinistra.




Solo dopo essersi abbracciati aprono le loro braccia quasi a voler avvolgere a loro l'universo intero, insegnandoci così che solo dopo aver preso consapevolezza del nostro Io più profondo possiamo aprirci in abbracci cosmici. Il gesto di abbracciare se stessi è infatti propedeutico per poter abbracciare il prossimo. Come dire: abbracciarsi per abbracciare, accogliersi per accogliere, amarsi per amare ricordando il detto Evangelico "Ama il prossimo tuo come te stesso" che possiamo riformulare per estensione "abbraccia il prossimo tuo come abbracci te stesso". In questo modo riscopriamo ancor di più l'importanza del prenderci cura di noi per poter dare il meglio, in modo tale che i nostri abbracci possano  fare la differenza e dare qualcosa di veramente consistente, qualcosa di profondo che possa cambiare la vita delle persone. Riferendoci al testo presente nel video, possiamo dire che :

"La vera storia di un abbraccio è tutta interiore". 

Uomini speciali per abbracci speciali 

All'inizio di questa riflessione, ho nominato Michele. Quest'articolo infatti è nato per ricordarlo ad un anno dalla sua morte. Molti si chiederanno chi fosse, ma non credo sia importante o opportuno lanciarmi in questa sede in ricordi stucchevoli. Non basterebbe un'enciclopedia per ricordare quello che ha rappresentato non solo per me ma per tantissime persone.
Credo sia invece importante ricordare e ricordarci che ci sono uomini speciali per abbracci speciali. Ci sono uomini che riescono con un abbraccio consapevole e sincero ad aprire i cuori, consolare dolori più profondi, accogliere gli esclusi o chi si sente tale.
Ci sono uomini che hanno fatto dell'abbraccio un vero e proprio canale comunicativo privilegiato, un linguaggio non verbale efficace più di mille parole. Ci sono uomini che con un abbraccio riescono ad anticipare l'espressione di bisogni affettivi e necessità emotive nei più piccoli fremiti. Michele era uno di questi. In tanti anni, l'ho visto dispensare abbracci generosi ad una miriade di persone: bimbi, giovani, vecchi, ad ognuno con la massima cura e dedizione, facendoci sentire unici e irripetibili e insegnandoci che  l'abbraccio è la via più breve tra due cuori.

Quando perdiamo qualcuno di caro, oltre al dolore del distacco emotivo c'è il dolore per la mancanza dei piccoli gesti fisici, tra cui gli abbracci. Gli abbracci di Michele mancheranno a tantissime persone. Ma forse, invece di soffermarci su quello che non potremmo più avere potremmo far tesoro di quello che abbiamo avuto. Magari così, dando ciò che abbiamo ricevuto, potremmo imparare noi a dare abbracci che possano cambiare la vita della persone, così come Michele (Padre Ludovico), ha fatto con noi.
Nel desiderio di essere abbracciata, desiderio dai contorni sempre più sfumati ed eterni, ti posso scrivere solo due righe.



Abbracciami
nell’intimità del tuo cuore
abbracciami
nelle pieghe del mio dolore
nelle gioie dei miei traguardi
abbracciami nel tempio della tua accoglienza

Il tuo abbraccio
sarà per me protezione di un grembo materno
i nostri cuori uniti
impareranno a librarsi insieme
in una mistica danza
Sarà l’albore di due nuove vite.

Hayat Francesca Palumbo in memoria di Michele Fazzone....Padre Ludovico o.f.m. 




Per approfondimenti e curiosità 

(1)  effetti fisiologici dell'abbraccio
https://elenacaparellopsicologa.wordpress.com/2017/03/02/ecco-spiegato-leffetto-dellabbraccio/


(2) L'abbraccio di piazza san Pietro. http://www.specchioromano.it/fondamentali/Lespigolature/2005/Aprile%202005/Il%20colonnato%20di%20San%20Pietro,%20un%20abbraccio%20di%20fede%20e%20arte.htm

domenica 12 novembre 2017

S come suocera...non tutte le nuore sono fortunate come Ruth.









Dedicato a genitori, figli, suoceri e mariti. L'arazzo della vita può essere un capolavoro se ogni punto illumina di colore il proprio punticino senza invadere l'altro.
Dedicato in modo speciale a mio marito Dario, con il quale abbiamo dovuto forgiare insieme nuove chiavi con le quali aprire porte nei labirinti in cui la vita ci aveva portato.


Quando penso alla formazione di una nuova coppia mi vengono alla mente molte immagini: un nuovo ecosistema che si deve assestare inevitabilmente portando uno scompenso iniziale agli ecosistemi attigui; uno scontro titanico tra due civiltà diverse; un trapianto di organo nel quale bisogna superare le possibili crisi di rigetto. La nuova coppia  si “inserisce” infatti  in un complesso di relazioni consolidato e ciò può essere traumatico per tutte le realtà, sopratutto se prendiamo in considerazione i rapporti genitori-figli. I rapporti infatti con la famiglia di origine e soprattutto con la suocera possono risentire di questa nuova realtà. Si innescano dinamiche nuove ed inaspettate dovute a questo mutamento nella vita di genitori e figli. Sebbene le identità personali rimangano immutate (la mamma è sempre la mamma, i figli sono sempre figli), i ruoli si dovrebbero evolvere seguendo il passo della dinamicità della vita. Ma non sempre è così e ciò può portare a conflitti a cui tutti, o in prima persona o per esperienze vicine, abbiamo assistito.

L'origine di tutto: il rapporto genitori-figli 
Ci sono molti rapporti che se non equilibrati e ben costruiti nel corso degli anni  possono provocarci conseguenze che ci porteremo per tutta la vita, sia nel bene che nel male.
Il più importante di questi, è quello che lega i genitori ai figli.
Quante delle nostre situazioni hanno come origine il rapporto che abbiamo avuto e abbiamo con nostro padre e nostra madre! Squilibri e problemi che rischiano di sommergerci e condizionarci  quando non gestiti in modo adulto e consapevole.
Il primo passo per rendere felici i propri figli è la consapevolezza che non ci appartengono, ma che prima di tutto sono persone. Due grandi poeti come Khalil Gibran e Jose Saramago hanno espresso questo concetto in modo magistrale.




Gibran sui figli 


Un figlio è un essere che Dio ci ha prestato per fare un corso intensivo di come amare qualcuno più che noi stessi, di come cambiare i nostri peggiori difetti per dargli migliore esempio, per apprendere ad avere coraggio. Sì. È questo! Essere madre o padre è il più grande atto di coraggio che si possa fare, perché significa esporsi ad un altro tipo di dolore, il dolore dell'incertezza di stare agendo correttamente e della paura di perdere qualcuno tanto amato. Perdere? Come? Non è nostro. È stato solo un prestito. Il più grande e meraviglioso prestito, siccome i figli sono nostri solamente quando non possono prendersi cura di sé stessi. Dopo appartengono alla vita, al destino e alle loro proprie famiglie. Dio benedica sempre i nostri figli, perché a noi ci ha benedetto già con loro. 
Josè Saramago -


Un rapporto genitori-figli maturo ed equilibrato è un prerequisito fondamentale per la costruzione di rapporti con gli altri. Ed a maggior ragione lo è per lo sviluppo di buoni rapporti con la famiglia di origine de nostro compagno/a.
Iniziare da questo punto è fondamentale per capire la genesi di alcune dinamiche familiari, soprattutto con l'introduzione di un nuovo elemento estraneo (il nostro compagno) nella famiglia di origine di ciascuno.
I rapporti di qualsiasi tipo vanno costruiti, curati, vagliati, pianificati senza dare nulla per scontato. La consapevolezza di una relazionalità equilibrata da costruire è fondamentale in quanto i genitori devono proprio preparare i figli a tessere la loro vita mediante la formazione di una rete di relazioni, ed è proprio la famiglia il primo luogo dove si impara a fare ciò. Bisogna per questo considerare e riconoscere che i nostri figli, oltre e prima di essere "piezz' è core" hanno una loro identità personale. Purtroppo a volte, questa realtà sfugge. Non sempre si riesce a varcare quella soglia, quel passaggio  psicologico da una persona, nell'entità unica mamma incinta più bambino, a due persone, ognuna con una propria identità, mamma più bambino "separati" dopo il parto. Spesso si assistono a dinamiche in cui la maternità viene centrata solo sull'Ego materno e non sulla donazione di una nuova vita indipendente. Si assiste quindi ad uno strano fenomeno di ribaltamento dei ruoli in cui il cordone ombelicale non serve più a nutrire il bambino ma a nutrire la mamma in un rapporto di squilibrio affettivo che non potrà far altro che portare a conseguenze nefaste, in quanto ogni relazione fondata su un presupposto di possesso o sfruttamento emotivo è destinata a fallire, anche tra genitori e figli. Ci sono madri che hanno partorito solo fisicamente ma non ancora psicologicamente, volendo rimanere in quello stato di estasi perenne di "donna incinta", ma ciò non è possibile, non è né reale né naturale.
Il diventare suocera rappresenta la cartina tornasole della recisione del cordone ombelicale. Cordone che andrebbe tagliato al momento opportuno, con una grande dose di coraggio, generosità ed onestà sentimentale. Quando ciò non avviene nei tempi e modi idonei, sono grossi guai. Alcune madri, arroccandosi dietro ad un distorto concetto di amore materno non lasciano la loro postazione per nessun motivo al mondo. Così però, obbligano i figli una volta adulti, a tagliare, contro natura, essi stessi il cordone ombelicale. Ma ciò sarà molto più doloroso per ambedue le parti in quanto ci vorrà un'ascia per riuscire a infrangere un cordone diventato catena sclerotizzata dagli anni, da frustrazioni e risentimenti da parte di entrambi. Doloroso e difficile. Questo tipo di dinamiche sembrano essere molto più frequenti tra i figli maschi e le loro madri. Nell'immaginario collettivo e negli stereotipi, è la mamma dell'uomo che dà maggiormente filo da torcere nella vita di coppia. Il rapporto madre-figlio è diverso da madre-figlia. Abbiamo due canali comunicativi diversi che risentono della fisiologica differenza tra uomo e donna. Se nel rapporto madre-figlia il rischio più alto è quello della competizione e del paragone, il lato positivo è che due donne si capiscono meglio di quanto si capiscano uomo e donna, e quando hanno trovato una strategia condivisa, riescono a unirsi in complicità per affrontare comuni dinamiche familiari. Il rapporto madre-figlio è soggetto a problematiche diverse, dovuto al pericolo di trasfert e sovrapposizioni di ruolo che può raggiungere livelli patologici in certi casi, come per esempio quando muore il padre e la madre riversa sul figlio tutto il suo pathos.  


Onorare il Padre e la madre: dall'infanzia alla maturità. 


Il recidere il cordone ombelicale non significa dimenticare o abbandonare i propri genitori. Anzi, significa invece dare una connotazione più matura ed adulta a questo rapporto. In ogni cultura, il rispetto verso i genitori è un caposaldo per la società  Perfino nel codice civile italiano l'art. 315 (1) indica il dovere civile di rispetto dei figli nei confronti dei genitori.
Il comandamento divino recita testualmente Onora tuo padre e tua madre, come il Signore Dio tuo ti ha comandato, perché la tua vita sia lunga e tu sii felice nel paese che il Signore tuo Dio ti dà.  (2) 
Può capitare che il comandamento venga usato come ricatto affettivo o spada in mano a genitori che hanno una visione distorta del concetto di "onorare". L'etimologia viene in nostro aiuto facendo chiarezza. Onorare viene dal latino "onus" da cui viene anche l'italiano "oneroso", che significa pesante, ciò che ha peso. Onorare quindi significa dare peso, attribuire valore, attribuire il giusto peso, valorizzare in maniera adeguata, dare il giusto valore a padre e madre. Tradotto con una formula negativa significa non disprezzare. "Disprezzare" vuol dire dare un valore sbagliato, un prezzo sbagliato. Se noi disprezziamo i nostri genitori non saremo mai felici in quanto non diamo giusto valore e disprezziamo la  nostra origine. Onorare i genitori non significa quindi cedere ad ogni loro richiesta passivamente ma dare a loro il "giusto peso", a prescindere dai loro caratteri, dai loro sbagli, perché, ricordiamo, i nostri "eroi dell'infanzia" sono esseri umani che sbagliano e che inevitabilmente, come tutti gli esseri umani commettono errori che ci condizionano.
Onorare il padre e la madre implica anche accettare i loro limiti, le loro imperfezioni, implica imparare a perdonarli collocandoli in questo modo nel giusto ordine delle cose. Concedere ai nostri genitori di sbagliare e perdonarli ci fa diventare adulti. Riuscire a costruire buoni rapporti con i genitori innesca un circolo virtuoso in quanto : 
- si impara ad essere buoni marito e moglie essendo buoni figli;
- si è buoni figli perdonando i genitori;
- buoni rapporti con suoceri/generi-nuore sono fondati su buoni rapporti genitori/figli; 
- buoni rapporti genitori/figli si costruiscono onorando (dando il giusto peso) ai genitori. 


Ruoli ed identità: gli altri non siamo noi.

Nel momento in cui si forma la nuova coppia il palcoscenico della vita si affolla e inevitabilmente ci saranno cambiamenti nei ruoli degli attori. Sebbene le identità vengano mantenute, i ruoli cambiano, si evolvono con lo scorrere del tempo. I genitori devono prendere consapevolezza della crescita, sia anagrafica sia psicologica dei propri figli, che diventati adulti, avranno sempre bisogno di loro ma in modo diverso. Quando questo non succede si entra in conflitto. Per esempio, ci sono mamme che ancora comprano la biancheria ai figli sposati o li trattano da bambini davanti alle loro mogli con vezzeggiativi e atteggiamenti infantili che rasentano il ridicolo, non rendendosi neanche conto dell’inopportunità della cosa. Il primo incontro con la suocera non si scorda mai, come nell'esilarante film con Jane Fonda. Piccoli campanelli di allarme nei primi mesi di fidanzamento vengono sottostimati e irrisi, sulla scia dell'innamoramento. Ma ci sono, e eventuali comportamenti inadeguati e inopportuni se non frenati nel tempo opportuno, si amplificano esponenzialmente. 





Dal film "Quel mostro di mia suocera" con Jane Fonda e Jennifer Lopez

Se viene fatta rilevare l'inadeguatezza di alcuni comportamenti delle suocere, che sembra non si rendano conto, si assiste all'effetto "Cado dalle nuvole" stigmatizzato dalle solite frasi “Ma che male ho fatto?", “Eppure l’ho sempre fatto!" e così via.
I figli per quieto vivere e perché hanno già "troppe cose a cui pensare e queste non sono cose importanti" tendono a  minimizzare queste dinamiche davanti alla moglie (“Lascia fare” , “Lascia correre” , “Falla contenta”) ottenendo l’effetto opposto, aumentando il senso di frustrazione delle mogli che dopo un po’ scoppiano. 
Un altro esempio in cui c’è una grossa confusione di ruoli è quando si instaura una “competizione-sovrapposizione” tra suocera e nuora, e nel peggiore dei casi anche tra suocera e suocera... Ci sono suocere che per esempio vogliono imitare le nuore e nel peggiore dei casi anche le consuocere nel vestire e nel comportarsi generando una vera e propria Babilonia di rapporti traslati e sfalzati che nulla hanno a che vedere con la realtà. Una situazione tipica è quando le suocere vengono a casa  degli sposi e danno continuamente consigli “non richiesti” in un fenomeno di transfert psicologico degno di Freud, nei quali la propria realtà non viene vissuta ma si cerca di vivere quella degli altri. 

Avere una giusta consapevolezza dei ruoli e delle identità evita la maggior parte dei conflitti familiari. Quando questo è difficoltoso o non scontato come si fa? 
Prima di tutto è essenziale riconoscere il problema e non nasconderlo minimizzandolo o negandolo con le soliti frasi preconfezionate tipicamente maschili del tipo: “Ma è fatta così” , “Non è cattiva” , “Ci vuole tempo”.  Ricordiamoci il vecchio detto popolare “Il medico pietoso fa la piaga purulenta”. Molte dinamiche che nascono come formiche, se non affrontate subito possono diventare veri e propri bisonti. Il dialogo sincero e schietto nell'intimità della coppia rimane la base per superare le difficoltà. Il rischio che si corre, sopratutto nei primi anni di matrimonio. è quello di ritenere responsabile il compagno delle parole e azioni dei suoi genitori. Dobbiamo ricordarci che il libero arbitrio esiste e che responsabile delle azioni o parole di una suocera è esclusivamente lei stessa. 
Solo con la base del dialogo e del confronto si riesce a evitare questa trappola. Il dialogo sincero tra i due permette inoltre di elaborare insieme strategie difensive e preventive. Chi meglio di un figlio che conosce i propri genitori  può dare dritte e suggerimenti su come evitare o gestire i conflitti? Questo può essere un gran esercizio per sviluppare la complicità nella coppia e un modo per aumentare la condivisione magari di problemi atavici che così verranno alleggeriti.

Piccole strategie 

In conclusione a questo lungo iter, seguono alcuni spunti pratici che potrebbero aiutare in un'ottica di gestione più serena dei rapporti.
  • Il dialogo 
Il dialogo nella coppia fa miracoli. Imparare a dialogare con serenità e sincerità previene molti problemi e conflitti. In una società dove il dialogo, (quello vero, vecchio stile, occhi negli occhi, per intenderci) viene sempre più soppiantato da canali comunicativi laconici ed immediati, la comunicazione profonda e veramente efficace viene profondamente penalizzata. Spendere del tempo con il proprio compagno rilassa i rapporti e permette di acquisire nuove chiavi per migliorare quelli già presenti. 

  • Costruirsi una propria identità di coppia
Il dialogo e la capacità di passare del tempo insieme ha come prima positiva conseguenza la costruzione di una solida identità di coppia. E’ importantissimo soprattutto nei primi anni di matrimonio non lasciarsi prendere dal vortice delle visite e di tutte le domeniche passate dai parenti, ma  essere molto equilibrati. Si deve entrare in modo decisivo nella logica che i ruoli cambiano come abbiamo già ampiamente detto, e che siamo di fronte ad una nuova realtà che va considerata.

  • Non prendere decisioni da soli senza accordo col coniuge. 
La costruzione dell'identità di coppia avviene sopratutto nelle piccole dinamiche di ogni giorno. Con l'avanzare dell'età  i  genitori ridiventano come bambini. Individuano il punto debole della coppia e vanno da lui (o da lei) per fare inviti, carpire autorizzazioni, informazioni all’ insaputa dell’altro. E’ importante per questo non prendere decisioni da soli ma solo decisioni condivise con il proprio coniuge, in un'ottica di unità di coppia. Come faccio infatti a far passare il messaggio che faccio parte di una nuova realtà, se ancora mi comporto da single e non prendo decisioni con il mio compagno? Se i genitori intuiscono la minima fessura e la coppia manca di compattezza, inevitabilmente ci saranno conflitti e problemi. 

  • Non dare scatole da rompere 
Spesso le nuore si lamentano che le suocere "rompono le scatole". A questo proposito, una persona per me assai autorevole mi rispose ironicamente che la colpa era la mia che davo  le scatole da rompere. Il sillogismo è perfetto oserei dire filosofico: Se la suocera rompe le scatole, non dargli nessuna scatola!
Questo passo fondamentale presuppone notevole acume e uno "sguardo penetrante" in grado di cogliere e capire sfumature per poter leggere gli animi. Se sappiamo che un discorso può diventare fonte di discussione, intromissione o critica, semplicemente evitiamolo, o interrompiamolo sul nascere. 

  • Passare tempo da soli con i propri genitori. 
Continuare a tessere il proprio rapporto filiale e renderlo sempre più maturo abbassa l’ansia e il sentimento da “nido vuoto” che può insorgere nei genitori. Senza un “estraneo” in mezzo (ricordiamo che comunque, almeno all’inizio il nostro compagno è un elemento estraneo alla nostra famiglia) i genitori sono più rilassati ed è più semplice affrontare eventuali problematiche spinose. Il passare del  tempo insieme con i genitori in fase adulta può essere una buona occasione per ricordare le cose belle fatte insieme, per esprimere il nostro sentimento di gratitudine per quello che ci hanno dato, per prendere consapevolezza di tutto un cammino percorso insieme. Il tempo passato insieme può essere momento di intimità filiale che permette di tirare fuori risentimenti, traumi e rancori anche magari a livello subconscio, sepolti dagli anni e irrisolti,  e iniziare così un processo di guarigione affettiva indispensabile per poter  godere appieno della vita. 

  • Non forzare le cose
Purtroppo, essendo cresciuti in una determinata realtà e avendo ricevuto l'imprinting "Lorenziano" sin dalla nascita, è inevitabile proiettare il nostro modello di famiglia su quello del nostro compagno.  Dobbiamo invece prendere consapevolezza che cose che per noi sono scontate a livello familiare,  per altri possono essere fuori dalla norma. Detto in linguaggio più concreto, il motto celeberrimo "gli altri siamo noi" di Tozzi del lontano 1991, non regge minimamente. Gli altri non siamo noi. Ognuno di noi ha proprie realtà, limiti modi e costumi che vanno rispettati, conosciuti e valutati. In una società in cui per colpa di una tendenza verso un buonismo spietato che tenta di annullare tutte le identità, si rischia di confondere le acque e di volere a tutti costi ricercare unioni incompatibili tra le famiglie di origine, anche se animati dalle le migliori intenzioni. Non necessariamente bisogna riunire le due famiglie di origine. Se ci sono incompatibilità che fanno soffrire troppo e rischiano di essere causa di conflitto per la coppia, si possono pianificare momenti distinti, cercando di equilibrare con tanta carità tutte le situazioni ed esigenze. Ciò ovviamente non significa tagliare i ponti, ma anzi significa rendersi conto della realtà e della natura delle persone in un ottica di costruzione di rapporti "sostanziosi". Se infatti "gli altri non siamo noi", a maggior ragione siamo spronati a far fruttare le nostre capacità empatiche e sviluppare nuovi canali comunicativi per poter migliorare la nostra relazionalità. 


Concludendo: non tutte le nuore sono fortunate come Ruth e non tutte le suocere sono fortunate come Noemi 


La storia di Ruth e Noemi mi ha accompagnato fin dalla mia infanzia. Ricordo il film degli anni '60, con un bellissimo Stuart Whitman nei panni di Booz che incarnò il mio primo prototipo adolescenziale di principe azzurro quando sognavo da sempre una suocera come Noemi. Una storia di amore e di tenerezza. Una storia di complicità, di dedizione e donazione femminile tra suocera e nuora. Dopo, per par condicio, va visto anche il film "Quel mostro di mia suocera", in quanto propone un' ottica diametralmente opposta. Nella ricchezza delle possibilità umane è proprio così: ci possono essere rapporti di ogni tipo. La cosa importante è di tenere sempre al centro l'identità di coppia. 







Ricordando questa storia con mio marito, ironicamente ci siamo chiesti : ma  un rapporto così buono non sarà stato mica dovuto al fatto che Ruth era vedova e quindi il marito (figlio di Noemi) non poteva creare incidenti diplomatici come spesso fanno inconsapevolmente i mariti? Ai posteri l'ardua sentenza e buona visione ! 
Hayat Francesca Palumbo 



Note
(1)
Art. 315-bis
Diritti e doveri del figlio.
Il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacita', delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni.
Il figlio ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti.
Il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di eta' inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano.
Il figlio deve rispettare i genitori e deve contribuire, in relazione alle proprie capacita', alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché' convive con essa.

(2) 
Esodo 20,[12] Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che ti dà il Signore, tuo Dio. 
Deuteronomio 5,[16] Onora tuo padre e tua madre, come il Signore Dio tuo ti ha comandato, perché la tua vita sia lunga e tu sii felice nel paese che il Signore tuo Dio ti dà. 

mercoledì 18 ottobre 2017

F come forma.da Botero a Baumann, passando per la cellula, il viaggio della forma tra colori, funzioni ed identità






Lavorare in un Liceo Artistico ha come effetto collaterale positivo lo sviluppo di una nuova percezione visiva. L'occhio impara a nutrirsi di nuove ed inaspettate prelibatezze cucinate con gli ingredienti base di forme, spazi e colori.
Acquisendo una nuova ottica, lo sguardo penetra nell'immagine, sviscerandone significati e contenuti o semplicemente beandosi in essa, come in una piscina cromatica. In ogni immagine che percepiamo, sia un' opera d'arte, sia una realtà fisica, la forma non solo ne determina la natura ma ne diventa anche chiave di interpretazione. Nascono così varie considerazioni e voli pindarici sul concetto e sulla percezione delle forme in ambiti che spaziano dall'arte alla biologia, dalla poesia alla sociologia, riconoscendone l'importanza fondamentale.

L'apoteosi della forma nella pienezza di Botero 

Ho avuto il piacere di gustare qualche mese fa la mostra di Botero a Roma, in compagnia di una amica. Durante questo piacevole momento, ho iniziato a riflettere sul concetto di forma, iniziando un percorso mentale che in seguito si è rivelato generoso in nuove ed inaspettate diramazioni.
Si può tranquillamente affermare che Botero sia un maestro della forma.
L'attrazione verso le forme rotonde è infatti la sua carta d'identità, la sua caratteristica distintiva.  Richiamato inesorabilmente dalle rotondità, è riuscito a plasmare con esse ogni tipo di realtà del suo vissuto artistico.

"Un artista è attratto da certi tipi di forme senza saperne il motivo. Prima adotto una posizione per istinto, e solo in un secondo tempo cerco di razionalizzarla o anche di giustificarla." Botero 


Botero- Ragazza con fiori 

Botero-La Muerte de Pablo Escobar 


Le forme scelte da Botero sono un vero e proprio linguaggio, un alfabeto artistico con il quale riesce a comunicare qualsiasi tema. Si arriva in questo modo all’esaltazione di tutte le forme tramite l’iperbole della fisicità. Tra le tele della mostra ho incontrato femmine vere, sensuali nella piena apoteosi della loro maternità. Donne “burrose”, sinuose, gioconde e feconde, ma non solo. Ci troviamo davanti ad un vero e proprio canale comunicativo iconico che riesce a tradurre qualsiasi realtà, dall'arte (Monna Lisa), alla religione (ci basti pensare ai ritratti del clero), dai politici ai ritratti di scene di vita familiare e conviviale, dalla sua descrizione di avvenimenti drammatici, come la morte di Escobar, ai famosi soggetti circensi.
Ricordiamo anche il Gesù di Botero: un Cristo in croce che ci riporta in pieno al “Cristo ha voluto prendere forma umana” e che forma, aggiungerei.
Un Cristo veramente umano, in tutto, anche nella fisicità.  Insomma un tripudio di forme.


Botero- Cristo crocifisso 

Le forme di Botero racchiudono generosamente materia e sopratutto colore, che risuona grazie all'effetto "grancassa" di ogni linea curva e morbida.
Persino le nature morte di Botero invitano alla generosità delle forme. Una vera e propria apoteosi e godimento alla vista. Sfidando le norme della prospettiva, rende ancor più munifica la generosità intrinseca della natura.
Questa sorta di "Teologia rotonda" di Botero ci mette a nostro pieno agio, suscita sentimenti di simpatia e invita tutti noi, magrolini, rotondi e "normodotati" a riflettere sulle nostre forme e a riconciliarci con esse. Dobbiamo avere la consapevolezza che la forma che assume il nostro corpo durante gli anni non solo è legata all'espletamento di tutte le nostre funzioni vitali ma è anche (e sopratutto)  lo specchio del nostro vissuto interiore.

Busto di Aristotele



Malattie, depressione, disturbi alimentari, attività fisica, massaggi influenzano la nostra forma e fanno di noi, agli occhi più sensibili ed attenti, un libro aperto dove è possible leggere gli avvenimenti salienti della nostra vita. In altre parole, la forma del nostro fisico può diventare la parte visibile del nostro invisibile.
Se coltiviamo il desiderio di cambiare "forma", dobbiamo riflettere sul fatto che sarebbe meglio prima cambiare e sanare il contenuto. Insomma prendendo spunto da Aristotele, non possiamo cambiare forma alla candela senza agire sulla cera.


Compenetrazione tra arte e  forma: una sola Arte in più forme 

La forma non è solo data da linee e colori, ma può essere definita da parole, come pennellate in un quadro. Leonardo da Vinci paragona non  solo la pittura ad una "poesia che si vede e non si sente " , ma anche la poesia ad una "pittura che si sente e non si vede" associando ineluttabilmente queste due forme artistiche. La ricerca della forma perfetta nella poesia è stato il motore della poesia Parnassiana del 19esimo secolo. Ricordiamo brevemente a tal proposito Theophile Gautier, per il quale la parola va cesellata, scolpita, plasmata, proprio come un gioiello.  Per il poeta parnassiano, bisogna dare forma alla parola proprio come ad una scultura, riecheggiando così Michelangelo. Ritornando alla metafora di Leonardo da Vinci, ricordiamo che nella storia abbiamo innumerevoli esempi di connubio tra pittori-poeti e  pittura - poesia.





Pensiamo per esempio all'amicizia profonda, quasi sfociata nel sodalizio tra il poeta Beaudelaire e il pittore Delacroix. Ricordiamo che Beaudelaire scrisse diversi saggi ed articoli su Delacroix in occasione dei Salons, esposizioni Parigine nel 1845 - 1846 ed in occasione della morte del pittore.
Per i francofili propongo il seguente testo:

" Je crois, monsieur, que l'important ici est simplement de chercher la qualité caractéristique du génie de Delacroix et d'essayer de la définir; de chercher en quoi il diffère de ses plus illustres devanciers, tout en les égalant; de montrer enfin, autant que la parole écrite le permet, l'art magique grâce auquel il a pu traduire la parole par des images plastiques plus vives et plus appropriées que celles d'aucun créateur de même profession, - en un mot, de quelle spécialité la Providence avait chargé Eugène Delacroix dans le développement historique de la Peinture." 


Baudelaire ci parla in sintesi di "un'arte magica" che permette la traduzione della "parola" in "immagini plastiche".
Rimbaud farà di più, nella sua celebre poesia Voyelles associando prima vocali a colori e in seguito accostando ognuno di questi binomi ad una vera e propria visione.
Un continuo transitare di sinestesie, un flusso ininterrotto tra forme cromatiche e alfabetiche in una coreografia vitale dalla quale prendono forma le visioni del poeta "voyant" come si definiva Rimbaud.



Nella sua raccolta di "Illuminations", la sua poesia va oltre il colore, giungendo alla consistenza di vere e proprie visioni di luce e colore.

Le forme in natura: Form is function

Durante i miei anni di Università, rimasi letteralmente folgorata dalla presa di consapevolezza dello stretto legame tra forma e funzione. Sembra banale, scontato, lapalissiano. D'altronde anche un bimbo si rende conto che una forchetta ed un coltello hanno forma diversa perché servono a fare cose diverse. Se ne è reso conto l'architetto L.H. Sullivan, definito come il primo architetto moderno Americano, che non poteva esprimere meglio questo concetto :

 «Tutte  le  cose  in  natura hanno un aspetto, cioè, una forma, una sembianza esterna,  che ci spiega che cosa sono, che le distingue da noi stessi e  dalle altre cose. Senza dubbio in natura queste forme esprimono la  vita  interiore  dei  sistemi  naturali,  la  qualità  originaria,  di  animali, alberi, uccelli, pesci […]. Nella traiettoria del volo  dell’aquila,  nell’ apertura  del  fiore  di  melo,  nella  fatica  del  lavoro  duro  del  cavallo,  nello  scivolare  gaio  del  cigno,  nella  ramificazione della quercia che si aggroviglia intorno alla base  nel movimento delle nubi e sopra tutto nel movimento del sole, la  forma  segue  sempre  la  funzione,  e  questa  è  la  legge.  Dove  la  funzione  non  cambia,  la  forma  non  cambia  […].  È  la  legge  che  pervade  tutte  le  cose  organiche  e  inorganiche,  tutte  le  cose  fisiche e metafisiche, tutte le cose umane e sovraumane di tutte  le manifestazioni concrete della testa, del cuore, dell’anima, che  la vita è riconoscibile nella sua espressione, che la forma segue  sempre la funzione. Questa è la legge» (1)   


Di esempi in tal senso in natura ne abbiamo veramente a migliaia. Riflettiamo per esempio sulla grande varietà di forme di foglie e radici adattate all'ambiente: la forma fa la differenza tra vita e  morte.
Negli ambienti estremi e desertici, ci imbattiamo in forme tenaci, caparbie, resistenti alle intemperie. Forme perfette, efficaci, forme che sfruttano ogni minimo spazio, ogni possibilità infinitesimale, ogni strategia possibile per slanciarsi alla vita.

esempi di adattamenti delle piante in ambienti xerici 

Ragionando sul concetto di forma e funzione a livello più profondo, non possiamo far altro che spalancare il cuore e la mente sulla perfezione del sistema “Uomo”. Se consideriamo che ogni organismo deriva da un'unica cellula secondo il celeberrimo motto  che Omnis cellula e cellula, non possiamo fare altro che stupirci dalla varietà di forme e funzioni cellulari.

Consideriamo per esempio astrociti e globuli rossi. Parafrasando un celebre film, sono "così vicini" uniti dalla loro origine cellulare primordiale, e "così lontani", differenziati nella loro funzione  pienamente contraddistinti nella loro forma.

Ragionare in modo approfondito su questo legame intrinseco spalanca cuore e mente sulla perfezione del sistema “Uomo”. Come non affascinarsi sulla perfezione di una cellula? Come non perdersi nella vastità del mare dendritico di una cellula di Purkinje nella perfezione delle sue ramificazioni?

Cellula del Purkinje (2) 

Come non commuoversi nella contemplazione di micro-organuli presenti nella cellula? La culla della vita è questa, tra forme rotondeggianti e perfette che danzano nello spazio della membrana cellulare. Letteralmente estasiata  nella contemplazione della perfezione della biologia cellulare ebbi nel corso dei miei primi anni universitari una sorta di rinnovata conversione nella quale presi profondamente consapevolezza dell’unione inscindibile tra scienza, fede e bellezza.
Le forme biologiche sono talmente armoniche, affascinanti e oserei dire "ipnotizzanti" che hanno  persino ispirato collezioni di gioielli.








La forma della forma: spirali e motivi matematici ricorrenti 

Ma la forma non solo è intrinsecamente legata alla funzione ma alla natura della forma stessa. Andando in profondità, osserviamo che la natura usa una sorta di  paradigma creativo che declina sia microcosmo sia  macrocosmo. Già in epoca antica, dalle prime civiltà agli antichi Egizi, in seguito con Fibonacci nel Rinascimento, fino ai nostri giorni, con lo studio della bio-matematica e dei frattali, la sezione aurea sembra costituire il modulo della tassellatura dell'Universo. Osserviamo così un  unico motivo matematico che si ripete nella sua identità nelle galassie, nel corpo umano, nella corolla di un girasole e nell’ embriogenesi di un gasteropode.









Esempi di spirali auree in natura


Un motivo ripetuto: dalla  morfologia botanica alle galassie. 


 Gli  studi di Leonardo Fibonacci  e in seguito quelli del frate francescano Luca Pacioli che ha pubblicato proprio sulla sezione aurea il trattato Divina Proportione, illustrato dallo stesso Leonardo, hanno dato via ad una nuova consapevolezza, una nuova visione del concetto di armonia nell’arte . Sono numerosissimi i capolavori soprattutto di Leonardo, in cui ritroviamo l'intelaiatura della spirale, del triangolo o del quadrato aureo.


L' Uomo vitruviano  e spirale aurea 

La Gioconda e la spirale aurea 




S. Girolamo di Leonardo e rettangolo aureo 

Annunciazione di Leonardo e triangolo aureo 


La forma così diventa pura armonia e bellezza. Inevitabilmente la visione di tali forme armoniche e così perfette non può fare altro che suscitare percezioni sensoriali di piacere,  rilassamento, di appagamento, che tutti noi abbiamo provato davanti ad un'opera d'arte.

Forma e società

In questo percorso in cui abbiamo contemplato la perfezione delle forme, possiamo anche fare il ragionamento inverso. Abbiamo visto che nella forma può risiedere armonia, pienezza, unità.
Ma quando manca una forma? Quando la compattezza e l’identità di un’unità fisica, biologica o anche sociale vengono meno?
Posso avere vari effetti. Un effetto che chiamerei “ameboide” nel quale come in un’ameba senza forma definita, la realtà perde le proprie connotazioni e caratteristiche. La realtà cambia così continuamente forma in base al substrato solido. Corpi viscidi e mutevoli fanno pensare ad identità cangianti. Dallo stato gelatinoso in questa metafora biologica a quello liquido, in una metafora sociologica il passo è breve . Ci viene incontro Zygmunt Bauman che può essere definito a tutti gli  effetti il profeta della “liquidità”, e la liquidità è assenza di forma. Nei suoi saggi, con acume e finezza, il sociologo Polacco ha analizzato le cause del disagio dell'Uomo post-moderno in crisi di identità in relazione al passaggio da una "modernità solida" alla post-modernità liquida dei nostri tempi.



Zygmund Bauman 







 Il problema attuale della nostra società sembra essere proprio questo: la perdita di forma. La nostra società non solo è "tagliuzzata" ma manca di coordinazione tra gli elementi diversi. Neanche le nostre vite si salvano, ridotte ad un accumulo di momenti che mancano di armonia, ritmo e coesione. In una parola: Vite senza forma globale o coerente ma frammentata.
Personalmente ho la percezione di vivere in una fase di disgregazione di tutto ciò che abbiamo vissuto. In un’epoca di rinnegamento di qualsiasi nostra forma (leggasi radice) storica, religiosa, culturale, familiare e biologica.
Non esiste più identità, non esiste più forma, non esiste più ruolo. Ci basti pensare alla globalizzazione in cui sempre più le identità nazionali non sono ben nette e definite. Il concetto di fratellanza e condivisione dei popoli di cultura diversa viene così male interpretato producendo  una condizione identitaria scialba ed opaca, 
Pensiamo all’appiattimento dei ruoli  e dei sessi che rende sempre più informe e vago il concetto di famiglia. Ragioniamo sulla perdita della netta definizione dei compiti e funzioni che viviamo in ogni ambito, per esempio familiare e lavorativo. Chi lavora nel mondo della scuola conosce bene questa realtà.
La perdita di forma e di "solidità sociale" ha provocato conseguenze pesanti sulla nostra emotività e la nostra psiche. Ansia, depressione, attacchi di panico, frustrazione, sfiducia, scoraggiamento. Tutte realtà che stanno sempre più prendendo piede nella nostra "Società liquida".
Concludiamo così il nostro viaggio attraverso la forma. Magari adesso guarderemo un dipinto o ascolteremo una poesia con una nuova chiave, più consapevole. Magari acquisteremo una nuova visione, più penetrante. Magari svilupperemo una nuova coscienza per la quale la forma è tutto, tutto è nella forma, tutto è forma.
Hayat Francesca Palumbo 

(1) da  L.  H.  Sullivan,  The  tall  office  building:  artistically considered, in «Lippincott’s Magazine», 57, marzo 1896.  Testo di CARLA LANGELLA    L’EVOLUZIONE DEL PROGETTO BIO‐ISPIRATO
(2) http://sammlungfotos.online/brandspdwn-purkinje-cells.htm


Per approfondimenti sulla sezione aurea e gli elementi di biomatematica, consiglio i seguenti siti: 

http://www.festascienzafilosofia.it/2014/04/sezione-aurea-la-base-di-tutto/
http://www.lanostra-matematica.org/2013/08/spira-mirabilis-la-spirale-meravigliosa.html?m=1 https://paideiaoggi.wordpress.com/2015/12/12/la-sezione-aurea-espressione-aritmetica-della-bellezza/
http://www.lanostra-matematica.org/2013/08/spira-mirabilis-la-spirale-meravigliosa.html?m=1

domenica 9 luglio 2017

I come invidia. Storia di uno sguardo bramoso.







Ognuno di noi ha incontrato nel corso della vita il sentimento dell'invidia: il più ancestrale di tutti.
Presente in ogni religione, sembra la base di ogni combattimento spirituale nel quale bene e male si affrontano. Per la religione cristiana l'invidia affonda le sue radici nel combattimento tra bene e male e tutte le nostre tribolazioni alla fine si riducono all'invidia del demonio nei confronti dei figli
di Dio.

"Per l'invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo
e ne fanno esperienza coloro che le appartengono" Sap 2,24 .

Per i Buddisti e i Musulmani, l'invidia ha una connotazione lievemente più mitigata:  l'invidia è ostacolo al raggiungimento della pace della mente o di un cuore "infiammato".
"Non sopravvalutare quello che hai ricevuto e non invidiare il prossimo: colui che invidia il prossimo non conseguirà la pace della mente." Buddha 

"E che cos'è un cuore infiammato? "E' il cuore pio, immacolato, nel quale non c'è colpa, né ingiustizia, né colpa, né invidia" al Hakim al Thirmidhi

In ogni tempo ed in ogni religione, questo sentimento ha attraversato vasti territori temporali e geografici.
Partiamo in una sorta di viaggio illustrato dei meandri dell'invidia in modo razionale ed analitico.
Che cos'è l' invidia? Dal dizionario Garzanti:

1. sentimento di cruccio astioso per la felicità, la fortuna, il benessere altrui: avere invidia di qualcuno, contro qualcuno; provare, nutrire invidia per qualcuno; crepare d’invidia; essere roso dal tarlo dell’invidia | nella teologia cattolica, uno dei sette peccati capitali, consistente nel dolore per il bene altrui, considerato come una lesione o una diminuzione del bene proprio

2. desiderio di avere ciò che un’altra persona ha, non accompagnato però da malanimo; ammirazione, emulazione: ha una salute da fare invidia | la persona o la cosa che suscita tale sentimento: è entrato in azienda con un incarico che è l'invidia di tutti

Quindi, da una parte abbiamo un sentimento assai devastante, dall'altra abbiamo una chiave di lettura più attenuata, quella che in gergo si chiama "invidia buona", sulla quale sono da tempo impegnata in una lunghissima polemica con una mia ispiratrice di riflessioni.

Ragioniamo sul senso generale e più vasto dell'invidia.
Etimologicamente l'invidia ha una forte componente visiva (in- video. guardare male)
L'invidia nasce da uno sguardo concupiscente, avido. Uno sguardo che scruta, indaga, giudica le realtà altrui. Uno sguardo che vuole impadronirsi delle realtà viste anche se non gli appartengono. Lo stesso sguardo dell'opera di Gericault, geniale pittore francese del XIX secolo che ha ritratto le pieghe più oscure dell'umanità nella collezione di malati mentali.
Nei dettagli di questo volto cogliamo tutta l'avidità, la concupiscenza, la bramosia di uno sguardo che mira ad invadere e conquistare la sfera intima dell'invidiato.


 Theodore Gericault (1791-1824)
Alienata con monomania dell'invidia

L'invidia è dunque una bulimia di sguardi indiscreti. Non a caso nella Divina Commedia, gli invidiosi sono sottoposti al castigo che più gli si addice: hanno le palpebre chiuse con il fil di ferro. Come un mettersi a dieta dopo aver fatto i bagordi.

Ma quali sono le radici dell' invidia?
La radice principale è una non conoscenza e non accettazione delle proprie realtà associata ad una bassa autostima.
Invidio perché sono insoddisfatta di quello che ho. O meglio sono insoddisfatta di quello che credo di avere o che credo di non avere, e allora quando mi imbatto in qualcuno che vive realtà che virtualmente vorrei vivere, scatta l'invidia.
L'invidia illude, suggestiona, mostra cose che non sono vere. Si basa su apparenze, sul primo sguardo "dentro" che quasi sempre è fallace e superficiale. Magari noi invidiamo una taglia 40 che ha problemi di anoressia, o una coppia apparentemente perfetta che nell'intimità è in conflitto. O invidiamo l'erba del vicino che a noi sembra sempre più verde ma...





Una scarsa autostima condita con un pizzico di vittimismo sono radici secondarie dell'invidia, e se ci riflettiamo bene, queste due realtà sono sorelle della non accettazione di sé. La non equilibrata conoscenza di sé con conseguente poca autostima, porta ad uno stato di immobilismo vittimistico nel quale si è più portati a fissare lo sguardo sull'altro che su se stessi.

Come si manifesta l' invidia?
Prima manifestazione, intrinsecamente legata alla radice etimologica, è la curiosità. L'invidia è curiosa, indagatrice, manca di discrezione.
Segue la volontà dell'invidioso di sminuire chi sta accanto. La bassa autostima e i complessi di inferiorità portano ad una volontà distruttiva verso il prossimo. Volontà che fagocita una più sana e ragionevole volontà costruttiva verso se stessi.  Mi spiego meglio. Sempre con l'esempio della taglia 40. Invece di coltivare una volontà costruttiva e di miglioramento nei miei confronti mettendomi a dieta e facendo sport, coltivo una volontà distruttiva verso il prossimo con giudizi del tipo "Ragazza bellissima  ma è un' oca" oppure "guarda che sedere che ha".
Si instaura un gioco perverso di alternanza tra fasi di distruzione e incensamento. Perché l'invidioso così è: diviso in se stesso, tra ammirazione e denigrazione, tra amore ( malato ) e odio. Viene così ingoiato una una vorticosa ciclotimia tra emulazione e calunnia.
E cosi abbiamo l'invidia che se da una parte ha uno sguardo anelante e quasi adorante verso la Gloria, contemporaneamente cerca di spennarla per impedire che essa voli, come nel quadro di Menageot, pittore Francese del XVIII secolo.







Un'altra manifestazione caratterizzante l'invidia è la maldicenza. Sempre per "spiumare" e deturpare cosa meglio della maldicenza? Quante chiacchiere hanno inquinato ambienti di lavoro, famiglie, comunità.
L'invidioso tesse trame di maldicenza e calunnie per immobilizzare e tarpare le ali, per insinuare il dubbio e per gettare fango per poter emergere. Questo è lo scopo dell' invidioso.
Giotto raffigura l'invidia  come una donna dalla cui bocca escono serpenti, e sembra illustrare perfettamente le parole di Papa Francesco.




La persona invidiosa, la persona gelosa è una persona amara: non sa cantare, non sa lodare, non sa cosa sia la gioia, sempre guarda ‘che cosa ha quello ed io non ne ho’. E questo lo porta all’amarezza, un’amarezza che si diffonde su tutta la comunità. Sono, questi, seminatori di amarezza. E il secondo atteggiamento, che porta la gelosia e l’invidia, sono le chiacchiere. Perché questo non tollera che quello abbia qualcosa, la soluzione è abbassare l’altro, perché io sia un po’ alto. E lo strumento sono le chiacchiere .  
 Cerca sempre e vedrai che dietro una chiacchiera c’è la gelosia e c’è l’invidia. E le chiacchiere dividono la comunità, distruggono la comunità. Sono le armi del diavolo”.

Papa Francesco



La manipolazione della realtà è un' altro frutto dell' invidia. L'invidioso essendosi costruito una sorta di realtà parallela che gli fornisce un alibi ( lui ha questo, io no) farà di tutto per cercare di plasmare la propria realtà con la manipolazione. I manipolatori vogliono infatti  creare relazioni secondo la propria visione della realtà e non secondo la realtà stessa. L' invidioso tende a manipolare perché, non essendo padrone della propria realtà, deve plasmare i pensieri degli altri a proprio piacimento.

Una volta presa la consapevolezza della nefasta invidia, riflettiamo sui meccanismi di difesa che possiamo usare.
Non dobbiamo pensare a difenderci solo dall'invidia "in entrata" cioè quella che gli altri provano nei nostri confronti, ma dobbiamo accettare il fatto che anche noi siamo suscettibili dei più turpi sentimenti. Nessuno è immune. L'invidia in "uscita" dai nostri cuori è quella più subdola in quanto è difficile accettare il fatto di poter partorire tali sentimenti.

Difendersi dall'invidia esterna è semplice. La scelta delle amicizie è fondamentale. Diffidiamo da chi ci adula o è troppo curioso o vuole entrare nella nostra vita con saccenza, arroganza e prepotenza. Impariamo ad essere discreti sulle nostre cose, mettendo le tende alla nostre finestre interiori in modo da preservare la nostra interiorità da sguardi indiscreti. Insomma, come direbbe il mio Maestro "se non vuoi che qualcuno ti rompa le scatole, non dargli scatole da rompere".  E' difficile, sopratutto per chi ha un carattere spontaneo ed aperto, ma bisogna assolutamente renderci conto che non è possibile condividere tutto con tutti.

Combattere l'invidia potenziale che potrebbe nascere dai nostri cuori richiede un forte lavoro su se stessi.
Occorre lavorare molto sulla conoscenza di se, sulla consapevolezza delle nostre realtà e sulla ricerca della nostra dimensione. Impiegando positivamente e costruttivamente le nostre forze in questo lavoro, ci renderemo conto che le energie impiegate invidiando gli altri sono solo uno spreco che non ci possiamo permettere di dissipare se vogliamo crescere seriamente.

Sempre nell'ottica di un rinforzo della consapevolezza del nostro essere, un buon esercizio è la memoria della nostra storia. Il ripercorrere mentalmente la nostra vita ricordando le nostre vittorie e i momenti belli ci aiuta a riprendere quota e rende evanescente i motivi di invidiare il prossimo, in quanto prendiamo consapevolezza che, se anche sto passando un momento negativo, qualcosa di bello nella mia vita c'è stato. Se poi ci alleniamo nel ringraziamento ( a Dio per chi crede, o chi fa per lui ...vita, cielo o entità da voi considerata) allora, l'immunizzazione è pressoché completa.
Seguendo il motto "Agere contra", se l'invidioso si caratterizza dall'amarezza e dall'incapacità di gioire, allora io devo imparare a gioire di ogni cosa. Non sempre è evidente. Non sempre ci riusciamo. Ma dobbiamo sforzarci in quanto la lamentela è il primo passo verso l'invidia.
Ricordo il personaggio di Pollyanna e il suo gioco delle felicità. Trovare oggi giorno il positivo nella nostra vita non è una cosa buonistica e poetica, ma è un vero e proprio allenamento mentale, una sorta di palestra che ci permette di formattare al positivo i nostri atteggiamenti.






Vorrei concludere con una piccola riflessione su quella che alcuni chiamano "invidia buona".
Sono impegnata in questa simpatica querelle da mesi. Una persona vulcanica che suscita nella mia testa continui confronti, nelle nostre riflessioni mi ha fatto notare che da dizionario esiste "l'invidia buona". Lascio ad ognuno di voi un varco aperto in questo senso, per carità.
Sinceramente non condivido questa visione in quanto già intrinsecamente nella radice etimologica quel "in" non ha solo la connotazione di "dentro" ma ha anche una connotazione negativa dando alla parola il significato guardare male  (1) . Mal si sposa l'epiteto "buona" con una parola che ha una particella negativa, ed anche la definizione che segue specifica l'uso "improprio" del senso buono.





Invece di invidia buona, io parlerei di ammirazione, buon esempio, sprone. Se riflettiamo sulla parola compassione  (patire con) possiamo dire che "l'invidia buona" è il complementare della compassione, cioè "gioire con", ma non ho trovato un lemma che mi soddisfi in tal senso.
Se ci pensiamo bene, le persone nella nostra vita che ci hanno manifestato compassione, che hanno sofferto con noi nei momenti bui, sono pure quelle che vedendo i successi della nostra vita, hanno avuto uno sguardo benevolo e magari hanno preso forza ed incoraggiamento dalle nostre vittorie. Ma persone così sono veramente rare. Beato chi se ne circonda. E' possibile gioire senza invidia dei successi degli altri ( riprendendo il concetto di "invidia buona" ) solo se si è capaci anche di soffrire insieme nella compassione reciproca.

Hayat Francesca Palumbo

(1) https://unaparolaalgiorno.it/significato/I/invidia