domenica 17 febbraio 2019




Probabilmente sono la persona meno indicata per scrivere una recensione di questo libro in quanto "inequivocabilmente" legata all'autore in uno strano rapporto che da 12 anni a questa parte, è partito da una forte intolleranza per arrivare al vincolo matrimoniale. 
Ricordo ancora con quando conobbi Dario Colusso. Un giovane adulto che si apprestava sulla via della maturità avendo passato i 30 anni. Si vedeva lontano un miglio che era un ingegnere. Non si trattava infatti del suo lavoro ma proprio della sua essenza: metodico, meticoloso, sguardo indagatore e penetrante, con la singolare capacità di carpire e usare a suo vantaggio ogni minimo segnale sfuggito inavvertitamente da uno sguardo o una parola.
Lo stesso sguardo è rimasto immutato dopo tanti anni, davanti alla scacchiera. Non particolarmente  "fluido" e "scafato" con le ragazze. Ricordo ancora quando mi avvicinò timidamente. Come un pavone, mi regalò un cumulo di fogli rilegati alla meno peggio spacciandoli per "libro scritto in gioventù".
Pensai ad un patetico, inopportuno, maldestro e soprattutto inutile tentativo di approccio in quanto allora, quel ragazzone con l'aria impacciata e perennemente sorridente in ogni circostanza, suscitava in me violenti sentimenti di irritazione. Solo per educazione presi "Il Cavallo Nero" che posi a decantare in un anonimo cassetto. Nei mesi successivi, conobbi un po' meglio Dario Colusso. Ebbi modo di apprezzare la sua strategia, la sua estrema perseveranza, la sua illimitata tenacia nel perseguire gli obiettivi. Dario Colusso riesce a vincere anche quando perde. Eventuali sconfitte, digerite molto faticosamente (basti osservare la mimica del volto), diventano in seguito per lui occasione di studio, in quanto ripercorre a mente fredda tutte le mosse meticolosamente annotate sul suo taccuino. Solo dopo aver capito i propri errori riesce a trovare sollievo e trarne vantaggio per la partita successiva. 
L'ingegner Colusso è capace di tenere per ore la concentrazione alta sugli scacchi, la stessa concentrazione che per anni conserva nei suoi obiettivi della vita. In questo modo ha vinto la sua più importante partita: quella con me. 

Uno scacco alla Regina che ha capitolato pubblicamente il 10 Maggio 2009, dopo esser stata vinta da quello che considerava un qualsiasi pedone. Ho così imparato che anche un pedone può fare scacco matto. 


"Il Cavallo Nero" è rimasto poi per anni in un cassetto. Presi dai primi anni di matrimonio e duramente provati per varie vicissitudini abbiamo ceduto al più grande peccato che possa commettere un essere umano: abbandonare le proprie passioni.
Un po' per mancanza di tempo, un po' perché presi dal turbinio della nuova vita, ci siamo dimenticati che le nostre passioni sono linfa vitale. Le nostre passioni sono il salvagente che permette di galleggiare nel mare della mediocrità e dell'uniformità. Le nostre passioni mantengono vivo il nostro intelletto. E il riprenderle ci rida' vita, come testimonia lo sguardo luminoso di Dario nel riprendere a giocare a scacchi. E così con la complicità di Paolo Gensabella come supporto tecnico,  grazie al professore Paolo Pavin conosciuto sui banchi di scuola e poi ritrovato dopo tanti anni, ed infine con il contributo del fratello Andrea Colusso che ha realizzato l'illustrazione di copertina è stato possibile far rivivere questa favola dissotterrandola dal cassetto. Uno scritto scorrevole, ambientato in un mondo fantastico, sospeso nel tempo che mi ricorda vagamente il Signore degli Anelli e le Cronache di Narnia, fluido nella narrazione ma nel contempo preciso nella spiegazione delle regole scacchistiche. Una metafora calzante dai messaggi morali importanti, come la ricerca di nuove strade per raggiungere la pace.
Gli scacchi non rappresentano così solo un semplice gioco di strategia ma una vero e proprio canale comunicativo, un linguaggio che permette di affrontare le questioni più spinose liberandole dalla coltre dell'impulsività. 

Un linguaggio universale, inclusivo che permette di comunicare tra persone diverse. Ho visto Dario Colusso giocare con persone anziane, con bambini, con scacchisti professionisti e della prima ora, bianchi, neri e gialli con la stessa immutata dedizione e passione. Più di una volta ho visto Dario conquistare il cuore di emarginati e persone che vivono situazioni problematiche semplicemente offrendosi di far una "partitina" e insegnar loro le regole degli scacchi. Ho visto bimbi sorridenti che magicamente rimangono incollati alla sedia per ore nell'ascoltare questo insegnante occhialuto che incute un misto di sacro timore reverenziale e consapevolezza di essere accolti, accettati ed ascoltati. 




Ho imparato negli anni ad apprezzare il gioco degli scacchi come esercizio che permette alla mente di concentrarsi sull'attimo presente, un'attività che obbliga la mente a non accogliere pensieri inutili per focalizzarsi sul gioco per integrare ed elaborare dati diversi, aiutando a depolarizzare la testa da problemi e pensieri fissi. Insomma, una partita a scacchi può anche aiutare per superare lo stress. 


L'ambiente degli scacchisti ha un fascino tutto particolare. Gli scacchisti parlano la stessa lingua, si riconoscono da una parola, da un comportamento. Ricordo ancora quando chiesi a mio marito di accompagnarmi all'esame di Persiano. Lui e il mio docente iniziarono casualmente a parlare e a scoprirsi amanti degli scacchi e iniziarono a disquisire sulle origini storiche dello "Shatranj", il nonno Persiano degli scacchi. 



Conoscendo e frequentando sempre più assiduamente il mondo degli scacchisti mi sono resa conto che alla fine di ogni partita,  un  legame speciale unisce gli avversari che si affrontano.
Uno sguardo misto di sfida, rispetto, ammirazione e voglia di imparare e carpire i segreti dell'avversario. 

Lo stesso sguardo che trapela nella splendida foto di Dario Colusso con il suo primo grande "maestro" di scacchi: suo papà Germano.

Hayat Francesca Palumbo 

Il libro può essere ordinato in tutte le librerie e si trova anche