martedì 29 novembre 2016

D come distacco. Il dono di lasciare andare e di lasciarsi andare




Un giorno chiesi alla mia Guida,  con un tono tra lo stupito e il provocatorio:
"Padre, come hai fatto a tenermi accanto a te per tutti questi anni? "
Lui mi sorrise, e indicandomi la porta spalancata disse :
"Così"

Io non capii.
Mi domandai che cosa c'entrasse la porta.
Lui notando un certo smarrimento nei miei pensieri, mi fece un sorriso pieno di amore e mi spiegò.
"Ho sempre lasciato la porta aperta. Ho sempre lasciato che tu fossi libera di andare via. Ma nello  stesso tempo, ho sempre cercato di darti le primizie, le cose migliori che non potevi trovare oltre la porta, per farti scegliere di rimanere".
Questa è la pienezza dell'amore.
La capacità di distaccarsi dal bene proprio per fare il bene dell'amato. Lasciare la porta aperta per condurci alla scelta di rimanere.
E in un' antonimia solo apparente capii così che il distacco è la base dell'unione.
Solo distaccandomi sono integro e libero di realizzare un unione perfetta con colui che amo.
Infatti, come mi ha insegnato la mia guida, l'unione perfetta non è tra due metà, ma tra due persone complete. E per essere prima una persona completa, devo essere distaccata, trovare il mio baricentro, la mia completezza.
Solo così potrò dare le cose migliori, le primizie.
Ed echeggiano oggi, come profezia compiuta, le parole di Gibran

" Sarà forse il tempo della separazione il tempo dell'unione?"

Oggi è per me così.
Tu mi hai lasciato la porta aperta per 30 anni, ed io ti sono rimasta vicino, perché mi hai dato cose che da nessuna parte avrei trovato.
Ma la vita poi ti porta a dare ciò che hai ricevuto.
E quando è toccato a me lasciare la porta aperta,
non sono stata così brava come mi hai insegnato.
Per settimane non ho voluto lasciarti andare, dicendomi che qui saresti stato meglio, in mezzo a tanti che ti hanno sempre amato, seguito e sono la tua famiglia.
Mi sono piazzata davanti a quell'uscio, a guisa di guardia  che non lascia passare nessuno, come un cerbero che cerca di controllare i potenziali minimi movimenti. Ma mi sono dovuta arrendere. Ci siamo tutti dovuti arrendere.
Abbiamo lasciato la porta aperta, con un flebile residuo di speranza che tu rimanessi.
Ma il tuo bene non era questo. E ci siamo convinti a lasciarti andare, e a lasciarci andare, come il salice. Come il salice che si piega sotto il peso della neve, i nostri cuori si sono piegati sotto il peso del dolore.
Con tanta difficoltà, ci siamo impegnati a lasciare scorrere il fiume di grazia, fiume che non può essere arginato, fiume per il quale nessuna diga può essere predisposta.
E, paradossalmente, proprio adesso che ti abbiamo  lasciato andare, ti viviamo più vicino, lasciandoci inondare da tutto ciò che ci hai dato, senza dighe né argini



venerdì 25 novembre 2016

D come donna. Piccole riflessioni last minute sulla giornata contro la violenza sulle donne



Dedicato a tutte le Donne. Con l'augurio di riuscire a recidere la testa del loro Oloferne. Con un colpo solo e netto senza tentennamenti.  

25 Novembre. Non c'è uno spazio che non parli della giornata internazionale della violenza contro le donne. Social subissati da scarpette rosse, donne tumefatte, immagini forti. Ben venga se ciò porta a riflettere. Il problema è che spesso la riflessione su queste problematiche, finisce il 26 novembre ed è una riflessione per lo più emotiva e superficiale, che si ferma al cliché della donna picchiata a casa dal marito o sfigurata dall'ex- fidanzato. Ma questa, purtroppo, è solo la punta dell'iceberg. 
Quando inizia la violenza nella vita di una donna? Fin dal grembo materno. 
Vi sono regioni nel mondo nelle quali persiste l'usanza di aborti selettivi e infanticidi. Rimasi  molto colpita nell'apprendere nel corso dei miei studi, che diverse tribù nell'epoca pre-islamica avevano l'usanza di seppellire vive le bambine nate. Maometto condannò questa pratica, migliorando in questo modo la condizione delle donne. Riconosciamolo. 
Il numero di aborti selettivi e infanticidi nel nostro evoluto 21 esimo secolo è preoccupante.

"Con un figlio hai una discendenza, con dieci figlie non hai nulla”, dice un antico proverbio confuciano; ogni anno, ad 1 milione e mezzo di bambine è negata la vita ancora prima della nascita, dicono le statistiche più recenti. Tra aborti selettivi e infanticidi femminili è come se all’appello mancasse la popolazione di una città grande come Nairobi, ha calcolato l'ultimo Dossier in difesa redatto da Terres Des Hommes e pubblicato in occasione della Giornata Mondiale delle Bambine. Per lo più succede in Cina (57%) e in India (30%) dove, secondo le Nazioni Unite, sono 117 milioni le donne mancanti, poco meno del totale della popolazione rosa. Ma la cronaca riporta numeri preoccupanti anche in Vietnam, Pakistan e Corea del Sud; Azerbaijan, Georgia, Armenia e perfino in Montenegro e Albania (1) 


Il premio Nobel Amartya Sen che ha indagato e studiato il fenomeno, addirittura parla di "Strage di Eva" ed ha studiato il fenomeno nel suo saggio "Lost girl". (2)

Il problema è che questo trend non riguarda solo zone rurali di estrema ignoranza, ma sta approdando anche in Europa, iniziando dall'Inghilterra in cui l'aborto per motivi di genere è consentito. 
Insomma, se una donna riesce a scampare all'aborto selettivo rischia altre forme di violenze estreme, sul suo corpo, sulla sua femminilità con la piaga dell'infibulazione. 
Violenza estrema, questa pratica ancora in uso, per preservare  la "purezza", in una sorta di vera e propria castrazione. L'uso dell'infibulazione è qualche cosa di indefinibile. Una violenza fisica e psicologica sulla donna inimmaginabile, che provoca conseguenze pesanti sulla sua salute, fisica e mentale e sulla sua maternità. Sono molte le donne attiviste in questo senso che denunciano il fenomeno, tra cui Aayan Hirsi, Somala, che ha subito all'età di 5 anni questa violenza ed è scappata da un matrimonio combinato. Ha inoltre collaborato con Theo Van Gogh, assassinato da un estremista islamico per il suo cortometraggio "Submission". Da allora Aayan Hirsi.vive sotto scorta in quanto proprio sul cadavere di Theo Van Gogh è stata ritrovata una condanna a morte per lei.
Un'importante spunto di riflessione di Aayan Hirsi è quello dell'inerzia dell'occidente per quanto riguarda questa problematica e l'appello lanciato alle femministe occidentali. Insomma, se vogliamo combattere la violenza sulle donne, bisogna farlo per tutte le donne, per tutte le violenze a cui sono sottoposte, vicine e lontane. 




Se una donna riesce in certi paesi a scampare e a sopravvivere ad aborto selettivo, infanticidio ed infibulazione, non può ancora tirare un sospiro di sollievo, in quanto la violenza dei matrimoni combinati è dietro l'angolo. 

Violenza su donne, su bambine. La peggiore forma che possa esserci. (5). In uso in molti paesi. Tra cui la "laicissima" Turchia che ha un piede in Europa.





E in questo senso Amnesty International ha lanciato una campagna efficace  contro questo fenomeno. La chiave di lettura interessante è quella di calare questa realtà in contesto occidentale, per cercare di sensibilizzare il nostro Paese. Purtroppo situazioni lontane da noi non ci coinvolgono più di tanto. Una specie di flash mob in piazza del Pantheon ha simulato un matrimonio combinato. Ci si indigna se succede (per finta ) a Roma,  ma se succede lontano da noi, nulla si dice. Occhio non vede, cuore non duole. 

Campagna azzeccatissima ed incisiva. 


Insomma, il nostro pianeta è un posto molto pericoloso per tutte le donne, per svariati motivi, tra i quali quelli suddetti (5) 


A questo punto potremmo chiederci: perché tutto questo accanimento? I motivi sono innumerevoli come per esempio una forte insicurezza maschile, che porta a schiavizzare le donne riducendole a merce, o anche un pizzico di invidia per le loro potenzialità. 
Le violenze più subdole sono infatti quelle sommerse, quelle psicologiche che in certi casi minano a distruggere l'autostima della donna con la goccia cinese dello bistrattamento, delegittimazione e scoraggiamento. Quante donne subiscono questa violenza nel quotidiano! 
La vera Donna fa paura. Perché è forte. Perché combatte con una tenacia e fedeltà inaudita per quello in cui crede. La ricorrenza del 25 Novembre nasce proprio per ricordare tre donne, tre sorelle, le sorelle Mirabal assassinate per il loro impegno politico. Il 25 Novembre 1960 Patria, Minerva e Maria Teresa Mirabal, attivamente coinvolte contro la dittatura di Trujillo a Santo Domingo , vennero catturate da agenti segreti del servizio militare mentre si recarono a fare visita ai loro mariti in prigione. .Furono torturate, chiuse nell’ abitacolo della macchina nella quale viaggiavano e spinte in un precipizio, simulando un incidente stradale. Ma il coinvolgimento di questo triplice omicidio risvegliò le coscienze e da lì ad un anno la dittatura di Trujillo cadde.
Furono soprannominate le "Las tres mariposas" ("le tre farfalle") e in loro ricordo venne istituita dall'ONU la giornata contro la violenza sulle donne.








E concludo questa carrellata ricordando una donna per me speciale, che ho amato fin dalle scuole superiori, quando lessi la storia della sua vita: Artemisia Gentileschi. 
La prima donna che denunciò il suo stupratore e andò incontro a un processo. Processo nel quale da vittima diventò imputata, con l'accusa di esser donna di facili costumi, come accade anche nei giorni nostri, e subì l'umiliazione di una visita ginecologica per determinare quando fosse stata "deflorata" e subì la tortura durante la sua deposizione. Fu' infatti sottoposta alla tortura della sibilla, perché considerata poco credibile. Tortura che rischiò di impedirle di dipingere, in quanto provocava lesione alle dita. Una violenza che avrebbe privato l'umanità di una grande artista. Ma lei si prese la sua rivincita. Agostino Tassi si fece un periodo (breve) di carcere e lei nel corso dei secoli, divenne immortale nei suoi dipinti che trasudano di tutta la sua passione e la sua determinazione. Ci basti pensare alla tela di Giuditta ed Oloferne diventata quest'anno simbolo a Firenze della Giornata internazionale della violenza sulle donne. 



Alla fine di questo escursus, non ho niente contro la giornata di oggi. Solo che non vorrei si trasformasse nel solito circo mediatico. La violenza sulle donne è una problematica complessa, varia. universale. Bisogna avere uno sguardo globale. Bisogna avere la coerenza di indignarci per ogni tipo ed ogni forma di violenza che tocca le donne, in ogni parte del mondo. 
Bisogna prendere consapevolezza che per estirpare questo fenomeno culturale bisogna agire sull'educazione. Bisogna nel nostro piccolo, avere il coraggio di tagliare la testa al nostro Oloferne, piccolo o grande che sia, avere il coraggio di dire no, dalle piccole alla grandi violenze. Questo quello che auguro a tutte le donne oggi. Perché il cambiamento inizia da noi. 
Hayat Francesca Palumbo 





domenica 20 novembre 2016

R come resilienza...ovvero l'arte della cedevolezza







Dedicato a Michele... che per decenni ha cercato di insegnarmi la via della cedevolezza. Solo adesso ne intravedo il valore. Meglio tardi che mai. 



La parola resilienza è una parola sacra.  E' una chiave verso la pace interiore. 

La resilienza da dizionario è la "capacità di un materiale di assorbire un urto senza rompersi".  In psicologia è la "capacità di un individuo di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà". 
La resistenza invece è l' "azione tendente a impedire l'efficacia di un'azione contraria" . 
Resistenza e resilienza sono diverse, ma legate tra esse, in una relazione solo apparentemente antitetica. 
Il resiliente infatti, con lo scopo a lungo termine di impedire un' azione e i suoi effetti, li subisce, ma solo temporaneamente, assorbendoli, perché ha capito che contrastandoli con un'azione contraria come farebbe un resistente, rischia di spezzarsi. 
La nostra  mente e il nostro cuore mentre affrontano un avvenimento traumatico o uno  stress, sono alla continua ricerca di una nuova omeostasi, un nuovo equilibrio che dia un minimo di pace.
E qui entrano in gioco due componenti a lungo termine dalla resilienza: la pazienza e la  cedevolezza.
In un ipotetico viaggio etimologico, possiamo immaginare la resilienza come la fusione della resistenza con la pazienza, che ricordiamo deriva dal verbo latino patior che significa “subire, sopportare”, da cui “soffrire”.

Dopo l'impatto con l'urto nella fase di adattamento e rielaborazione, la resistenza deve lasciare il posto alla pazienza, alla capacità di soffrire e alla cedevolezza.

Una leggenda narra che un uomo, durante una forte nevicata, notò i rami di molti alberi grandi e forti di ciliegio che si erano spezzati sotto il peso della neve. Solo un albero aveva resistito. Era il salice. I suoi rami, flessibili e cedevoli si piegavano lasciando cadere la neve.
Davanti ad uno stesso evento, vediamo i diversi risultati del resistente ciliegio e del resiliente salice, che è riuscito a superare la nevicata con la cedevolezza dei suoi rami. 
Da qui nasce il termine JU DO  che deriva proprio da 
 柔 jū, yawara gentilezza, adattabilità, cedevolezza, morbidezza e 道 dō, michi  via
Ovvero la via della cedevolezza. 

Ma non dobbiamo pensare alla cedevolezza come ad una mancanza di forza, una passività. Cedevolezza e resilienza implicano una forte capacità strategica, implicano la capacità di riuscire a mettersi d'accordo con i propri nemici, la capacità di addomesticare le proprie ombre e di riuscire a sfruttare la forza che l'avversario vorrebbe scagliare contro di te. 
La cedevolezza implica anche una grande dose di umiltà, di riuscire a chinarsi verso la terra e l'acqua, che ci danno vita. Cedevolezza è chinarsi, per rimanere sempre più vicini alle nostre radici.

Io sono 
Salice lungo il corso dell'acqua
Mi chino verso la fonte di vita 
Quando nevica 
sento il peso e il freddo della sofferenza. 
E mi chino ancor di più
verso la fonte della vita 
per avvicinarmi alle mie calde radici 
E mentre vedo il ciliegio che si spezza 
mi arrendo lievemente al freddo e al peso.
E' solo un attimo e la neve è già scivolata via. 
Solo un attimo.
Un attimo per l'eternità. 

Hayat Francesca Palumbo 






domenica 6 novembre 2016

P come Poppy - Papavero







Ho sempre amato i papaveri.
Mi ricordano tanti momenti di gioia discreta.
Ricordo ancora la meraviglia che da bimba suscitava in me la vista di grandi prati di fiori di campo, sopratutto ginestre e papaveri, quando andavo nelle campagne di Spello con i miei genitori.
Ricordo la piccola sorella  del deserto, Magdelaine, che voleva solo papaveri sulla sua tomba per ricordare la passione e la brevità della vita.
Una volta tornata a Roma, il mio rapporto con i papaveri è continuato per via musicale. Per circa un decennio i miei più cari amici mi hanno salutano con i versi della celeberrima canzone: "Lo sai che i papaveri son alti, alti, alti, e tu sei piccolina ..."
E risentendo queste note mi riaffiorano gli affetti di queste amicizie, tra bonari scanzonamenti e la spensieratezza dei 20 anni.



Il mio cuore è traboccato di gioia al pensiero di una persona, per me speciale, che ritirando fuori i suoi ricordi d’infanzia in Libia, me l’ha canticchiata in arabo.
In un’interconnessione affettiva, il mio legame con i papaveri è aumentato.
E poi è arrivata Cristina, che nelle sue vulcaniche attività artistiche mi racconta di un suo nuovo progetto: Poppy tells. Il papavero racconta
E così, in una lunga chiacchierata un po' surreale di fine estate, siamo riuscite a declinare il papavero in tutte le sue espressioni.
Si fa presto a dire papavero. Il papavero sganciato dal solito cliché  riserva molte sorprese... Il papavero infatti può essere bianco, giallo, nero e blu (addirittura dall'Himalaya)















Il papavero ha ispirato anche degli architetti a Gerusalemme. Infatti, ci sono grandi papaveri nella Città Santa che si aprono solo se qualcuno sosta sotto di essi, per riparare i passanti dal caldo.
Il papavero protegge, vivacemente e sollecitamente ...






E arriva finalmente il giorno del papavero! E ci lasciamo portare dal suo racconto ....









Poppy tells 

Il papavero racconta

Il papavero mette in scena la sua storia, su un palcoscenico dinamico che permette di vivere anche lati nascosti e retroscena cangianti 

Il papavero colora il grigio delle storie con il colore della passione 

Il papavero abbraccia l’immensità in un balletto  che racchiude  l’universo

Il papavero unisce tutti gli aneliti con  un filo rosso,  scostante, ritorto, fluido …

Il papavero  ritorna al centro della danza della vita 


Così. la sua storia diventa le nostre storie … 


Hayat Francesca