lunedì 30 dicembre 2019

C come cura العلاج





Correva l'anno 2005 ed era il ponte di Ognissanti. Ero a Berlino, con la persona che avrei voluto sposare, insieme ad un gruppone di amici molto eterogenei: giovani coppie come noi, qualche sacerdote e coppie sposate di mezza età. Tra progetti di case al mare e di una nuova vita insieme lontano da Roma, l'aria gelida Tedesca tra il Reichstag, i resti del muro e Alexanderplatz  rendeva tutto così sospeso in una dimensione di eternità.  Giorni stupendi, intrisi di Arte e Storia, lunghissime passeggiate e lunghissime chiacchierate. Ricordo le interminabili camminate io e il mio bello per i larghi viali Berlinesi, lo stupore per l'altare di Pergamo, il calore di un hot dog mangiato in fretta per non disperderne la temperatura e il check point di Charlie.  In uno dei rarissimi momenti insieme agli altri all'uscita di una birreria dopo un momento conviviale, un sacerdote attempato mi prese da parte e così, dal nulla, per strada afferrandomi per il braccio inizio' a camminare verso il nostro ostello iniziando tutto un discorso che giudicai un pochino sconnesso sulla cura. 
Pensai che magari con il freddo e le gambe malferme avesse bisogno di una scusa per appoggiarsi a qualcuno e gli diedi spago, così come facevo con la mia nonna quando voleva passeggiare e farsi una chiacchierata. A volte basta proprio poco per far felice un anziano. E un anziano felice ti dà le perle migliori. 
"Ricordati: la cura è tutto. La cura è riuscire a prevenire ciò di cui ha bisogno chi ti sta davanti e darglielo senza che te lo chieda. Solo con la cura e con l'ascolto del prossimo la società potrà cambiare. Se non ci prendiamo cura gli uni degli altri, la società è destinata a crollare, a fallire. In quanto donna poi, sei chiamata particolarmente a prenderti cura dei tuoi figli, e se non ne avrai, avrai sempre qualcuno di cui prenderti cura".
Sono passati anni, ma quelle parole riecheggiano continuamente nel mio cuore. 
Prendersi cura di qualcuno è il rimedio dei mali dell'anima. Il prendersi cura è fornire all'anima quelle medicine che sono necessarie per avere ristoro e sollievo. Non a caso in arabo la radice della parola "cura" è la stessa della parola "rimedio", "terapia" e "medicina". 
Prendersi cura di chi ci sta vicino è una vera e propria arte. 
E' un riuscire ad anticipare bisogni e necessità di chi ti sta accanto, elargendo il necessario senza che venga chiesto.
E' un esercizio costante di empatia. 
E', a volte, superare noi stessi e morire al nostro Ego per strappare un sorriso. 
Prenderci cura è strappare alla morte. Riportare le menti che errano in cosmi di paure ed angosce alla realtà. Proprio come insegna Battiato nella sua canzone del secolo. 



Dopo la persona di Berlino, che si è rivelata più fredda delle temperature Tedesche, ho avuto la grazia inaspettata di incontrare chi, nel corso degli anni, ha avuto costanza, umiltà e pazienza di imparare a curarmi dalle mie ossessioni, dalle mie manie, a proteggermi dalle mie ipocondrie e paure. Spero un giorno di guarire. Non perché io sia un essere speciale. Speciale è la cura di chi ti sta accanto. 
Una cura silenziosa e costante, ricamata punto dopo punto da infiniti gesti di gentilezza discreta. Speciale è chi ti sta accanto, se riesce a cogliere i campanelli di allarme e andare oltre. 

Speciale è chi riesce ad andare oltre il tuo sorriso che nasconde un cuore lacerato. 
Speciale è chi riesce a cogliere dietro quel "tutto bene" o "sono stanco" una richiesta di aiuto.  A volte siamo talmente malati che non riusciamo nemmeno a richiedere aiuto e lanciamo improbabili campanelli di allarme nella speranza che qualcuno si prenda cura di noi e spesso basta una piccola frase, una piccola parola che può essere balsamo per l'anima. 
Ricordo una mia carissima compagna di Università, che distingueva tutte le mie sfumature di riposta alla domanda "Come stai"?
Quando ci incontravamo davanti alla Minerva, se la mia risposta "tutto bene" era soddisfacente, mi prendeva per un orecchio e "visto che stiamo bene basta cavoleggiare e andiamo a studiare che c'abbiamo l'esame".
Se non era soddisfatta, mi guardava dritta negli occhi e sorridendo mi diceva dolcemente "sei poco credibile. Chi vuoi far fessa, andiamo a farci un caffè che poi studiamo meglio". 
Se poi rispondevo "Sono stanca" era la fine. Erano abbracci e lacrime in quanto mi vivisezionava talmente bene che non riuscivo a nascondergli nulla. Ha in qualche modo anticipato questo splendido video di Terenzio Traisci. 





Troppo spesso si sottovaluta la potenza di un tocco, di un sorriso, di una parola gentile, di un orecchio in ascolto, di un complimento sincero, o del più piccolo atto di cura, che hanno il potenziale per trasformare una vita.

Leo Buscaglia 


Una cura efficace non ammette improvvisazioni o superficialità. Ci deve essere una profonda conoscenza di chi ci sta accanto.  Nel sacro dizionario  arabo per radici che amo spulciare in quanto ricchissimo di spunti di riflessione, la radice di "cura" ( علج ) è la stessa di "esaminare", "studiare", "restaurare". Non ci può essere cura senza relazione e senza profonda conoscenza dell'altro. Se non costruiamo una relazione efficace, profonda e sincera, la cura non può essere vera cura. Si avvicina ad un interesse sporadico che lascia il tempo che trova. Positivo senz'altro, ma solo per una visione a breve termine, una sterile filantropia che magari può farci sentirci sul momento buoni e bravi. Il prendersi cura è altro. 
E' ricucire ferite come un chirurgo.
E' un restaurare un monumento stupendo rovinato dal tempo e dal dolore. I restauratori devono amare il loro monumento. 
Devono vedere la sua potenziale bellezza e fare di tutto per arrivarci.
Devo impiegarci tempo, energie, passione, così come il Piccolo Principe con la sua rosa. 



Cura ed amore sono due facce della stessa medaglia. Non possiamo prenderci cura di qualcuno se non lo amiamo. Non possiamo dire di amare qualcuno senza prenderci cura di lui. 
Le mamme sanno benissimo quale rimedio è il più efficace per i loro bimbi, perché li conoscono  a menadito. Sanno quando un mal di pancia è dovuto ad un capriccio o a una caramella mangiata di nascosto e si regolano di conseguenza. Da piccola pensavo che mia mamma avesse i superpoteri ed ero veramente stupita di come avesse un rimedio per tutto. 
Da dove cominciare in un'impresa così ardua e impegnativa? 
Iniziamo da noi stessi. Dal fortificare il nostro cuore, dal volerci bene. Chi fa mestieri di cura degli altri, come docenti, medici, infermieri, psicologi, educatori, sa benissimo quanto sia importante prevenire l'esaurimento emotivo per poter conciliare quelle che sono esigenze professionali e volontà di dare un valore aggiunto al proprio lavoro. 
Non sempre le buone intenzioni sono sufficienti. Pensiamo ad esempio ai professori. 
Il docente non è un missionario o un martire. Può però impegnarsi a svolgere il proprio lavoro in un'ottica diversa, in un'ottica di cura, che tra l'altro favorirà lo sviluppo di un miglior ambiente di apprendimento. Il docente (o qualsiasi altro professionista che si relaziona con gli altri), ha il diritto e il dovere di entrare in una classe sereno e sorridente. 
Certo il sistema non aiuta, anzi esaspera situazioni già di per se delicate. Allora non rimane che iniziare ad imparare a prenderci prima cura di noi stessi, proprio come faremmo con gli altri, con la stessa cura ed empatia, cercando di cogliere i segnali di stop del nostro corpo (invece di ignorarli ed andare avanti),  incrementando la conoscenza di noi stessi, delle nostre potenzialità da sviluppare e dei nostri limiti da monitorare. 
Se collassiamo avremo ben poche possibilità di prenderci cura di qualcun'altro; se non ci amiamo, avremo ben poche possibilità di dare amore, perché come il vino in un'otre squarciato, sarà perso in mille rivoli. 


Concludo con una splendida poesia di Alessandra Piccolo 

Prenditi cura di te 
Non avrai altro al mondo di così caro.
Massaggia le tue gambe stanche, la sera
sorprenditi sorridere tra le vetrine dei negozi nel via vai del giorno e saluta le tue mani, mentre lavorano nel dolore. 
Abbraccia le tue spalle almeno una volta al giorno, 
e tocca i tuoi capelli con l’affetto dell’unico padre.


Ama il tuo collo nascosto 
Adora i tuoi polsi agili.
Rispetta i tuoi piedi. 
Prenditi cura di te. 
Non avrai altro al mondo di così caro.

Nutri la tua mente 
lasciale molta corda per spiccare voli infiniti 

e poi riprendila per le quotidiane faccende sociali. 
Non dimenticare il suo enorme potenziale: onoralo. 
Fai molta esperienza ma fermati un momento prima di diventare superbo.


Sii audace senza metterti in pericolo 

Non avrai altro al mondo di così caro. 
Stai da solo ma conosci gli altri. 
Non pensare di essere il migliore 
ma non crederti mai ultimo, anche quando lo sei. 
Non giudicarti, analizzati. 
Non odiare nessuno, rende frustrati. 
Non disprezzare nessuno, rende ottusi.


Ogni cosa e persona e animale e pianta è un miracolo nell'universo caotico. 
Pensa in grande. 
Domanda perché. 
Prenditi il tempo per piangere 
e poi prenditi il tempo per fartela passare, ma fattela passare bene. 
Non dimenticare. 
E poi, cerca di amare il maggior numero di cose 
almeno quanto ami te stesso.

Rende liberi. 

A questo punto, mi rimane solo da saldare un debito di gratitudine. 

Desidero  infine ringraziare tutti quelli che si sono presi cura di me in questi anni. La lista è veramente lunga. Alcuni di essi hanno sfiorato solo un attimo la mia vita, ma con un loro semplice gesto l'hanno cambiata.
Ringrazio la mia famiglia, che nel bene e nel male ha sempre cercato di dare il meglio, ognuno con i propri limiti e i propri difetti.
Ringrazio tutti i fratelli e sorelle maggiori, che con cura e premura mi hanno indirizzato nei meandri della vita condividendo con me le loro esperienze.
Ringrazio la mia madrina, che si è presa cura di me nella fedeltà giornaliera nonostante la sfida del tempo e dello spazio.
Ringrazio i miei alunni speciali, che nella loro purezza mi hanno rincorso nei corridoi di scuola portandomi astucci, cellulari che dimenticavo in giro, chiuso la zip della mia borsa che lasciavo aperta,  ammonendomi mentre scendevo distrattamente  le scale con un " attenta che cadi" e prendendomi per mano e inchinandosi ai miei piedi se vedevano una mia scarpa slacciata. 
Ringrazio tutti i miei colleghi, di sostegno e curriculari, educatori ed assistenti specialistici che conoscendo le mie debolezze hanno sempre cercato di ridimensionare le mie paure. In certi mestieri solo uniti si vince.
Ringrazio chi, pur non conoscendomi ancora, nel supplire il mio posto a scuola quando stavo male, mi ha chiamato tutti i giorni per sapere sinceramente come stavo. Se la cura di chi ti ama è oro, quella disinteressata di chi non ti conosce non ha prezzo e poi la vita fa veramente ricami inaspettati. 
Ringrazio tutti gli specialisti che si prendono cura dei professionisti. 
In modo speciale, ringrazio il Dott. Vittorio Lodolo D' Oria che da anni si prende cura dei docenti (uno dei pochi se non l'unico) e Terenzio Traisci che con la sua comunicazione ironica ed efficace riesce a cogliere il segno. Di solito non consiglio libri che non ho letto, ma sul suo ci metto la mano sul fuoco. Già dal titolo. Sarà il primo del 2020 




Infine, "at last but not least" , ringrazio chi si è preso cura di me fin dall'eternità e insieme al salmista mi sento di implorare continuamente la sua cura paterna. 
"Custodiscimi come pupilla degli occhi, proteggimi all'ombra delle tue ali"  Salmo 17 
Hayat Francesca Palumbo 

martedì 19 marzo 2019

O come onda...tra arte e tempeste









“C'è un vantaggio reciproco, perché gli uomini, mentre insegnano, imparano.” 
Seneca 

Iniziando a leggere "The Tempest" di Shakespeare ad una mia alunna, mi sono ritrovata a meditare sul ruolo delle onde nell'arte. Immagino così Prospero, il protagonista de "La Tempesta", che dall'isola in cui era esiliato scatena una tempesta dalle onde altissime contro la nave dei suoi usurpatori, come se le onde avessero il potere di mondare ingiustizie e  angherie subite. E come non riuscire a meravigliarci del potere distruttivo delle onde come nel film "La tempesta perfetta", in cui le onde mozzafiato inghiottono tutto e in cui non c'è nessuno scampo alla furia della natura? Onde dal ventre insaziabile che fagocitano inesorabilmente tutto ciò che incontrano con una voracità distruttiva che non lascia tregua, senza minimamente badare ai miseri sforzi umani.



Tornando ad una visione un po' più artistica e meno "distruttrice", affascinano le onde rappresentate da vari artisti: lineamenti sinuosi e spumeggianti  che si ergono verso il cielo costituendo morbide sagome perfette e si evolvono in spirali. Ci basti pensare ad Hiroshige ed Hokusai.
Su questa tela di Hiroshige le onde sembrano  danzare ed avvolgersi in spirali di acqua in un balletto di forme liquidi e celesti. E che dire della celeberrima onda di Hokusai che ci rispecchia un principio di spirale aurea?
In tutta la sua magnificenza si erge maestosa dominando lo spazio.
Non solo nel mare ma anche nel cielo. Onde che si avviluppano in nubi, stelle e vento, come quella di Van Gogh in cui il cielo stellato si fonde in vortici luminosi che sembrano rischiarare una notte dinamica che avanza come onde sulle spiaggia.
O le onde di nebbia nel celebre dipinto di Friedrich. E noi, viandanti nelle nostre tempeste, non possiamo fare altro che contemplare in una silenziosa rassegnazione i flutti del fato.

Tutti noi siamo quell'errante. Nella nostra vita inevitabilmente siamo presi da onde e maremoti. Onde che vanno e vengono.
Onde emozionali ed affettive. Le onde dell'anima che se da una parte ci portano a buio e sofferenza dall'altra fanno emergere in noi potenzialità insperate, riportandoci per un attimo alle vere priorità di vita.
Le onde rappresentano così i maremoti della nostra anima. Una sorta di proiezione naturale dei contorcimenti del nostro spirito e delle torsioni del nostro cuore. E improvvisamente tutto ciò si fonde nell'immensità del mare o si infrange sulla roccia in un attimo di quiete. Prima che il vento porti una nuova onda in un nuovo ciclo che se da una parte ci distrugge, dall'altra incrementa la nostra volontà di vivere.

Non solo quelle del mare: le onde in senso lato e " fisico" rappresentano una costante presente nelle nostra vita. Onde luminose ed elettromagnetiche riempiono costantemente le nostre giornate: dalla cucina agli ospedali, strumenti per noi comuni sfruttano onde per funzionare e per farci comunicare a distanza. Fenomeni naturali sia a livello microscopico che macroscopico si basano sulla propagazione di onde.
Le onde vibrano, suonano e risuonano, riscaldano, illuminano, analizzano. In un singolare paradosso, le onde danno la vita e la tolgono, curano ed ammalano.  Dai biofotoni risanatori di cellule ai terremoti che frantumano in un attimo. Devastano e radono al suolo intere città.
Possiamo solo riconoscerlo: siamo in balia di onde più grandi di noi.
Siamo piccoli piccoli davanti alla vita. Non possiamo far altro che non contrastare l'onda che ci sta piombando addosso ma cercare di diventare uno con essa, in un' ottica di totale ed incondizionata resilienza. D'altronde in caso di ciclone per salvarsi bisogna tuffarsi nel suo occhio in cui la velocità del vento è nulla. Così per le onde. Non si può far altro che lasciarsi andare nel flutti e li ricordarci la nostra vera essenza. Perché solo in balìa della tempesta possiamo capire ciò che siamo e ciò che amiamo



Hayat Francesca Palumbo

domenica 17 febbraio 2019




Probabilmente sono la persona meno indicata per scrivere una recensione di questo libro in quanto "inequivocabilmente" legata all'autore in uno strano rapporto che da 12 anni a questa parte, è partito da una forte intolleranza per arrivare al vincolo matrimoniale. 
Ricordo ancora con quando conobbi Dario Colusso. Un giovane adulto che si apprestava sulla via della maturità avendo passato i 30 anni. Si vedeva lontano un miglio che era un ingegnere. Non si trattava infatti del suo lavoro ma proprio della sua essenza: metodico, meticoloso, sguardo indagatore e penetrante, con la singolare capacità di carpire e usare a suo vantaggio ogni minimo segnale sfuggito inavvertitamente da uno sguardo o una parola.
Lo stesso sguardo è rimasto immutato dopo tanti anni, davanti alla scacchiera. Non particolarmente  "fluido" e "scafato" con le ragazze. Ricordo ancora quando mi avvicinò timidamente. Come un pavone, mi regalò un cumulo di fogli rilegati alla meno peggio spacciandoli per "libro scritto in gioventù".
Pensai ad un patetico, inopportuno, maldestro e soprattutto inutile tentativo di approccio in quanto allora, quel ragazzone con l'aria impacciata e perennemente sorridente in ogni circostanza, suscitava in me violenti sentimenti di irritazione. Solo per educazione presi "Il Cavallo Nero" che posi a decantare in un anonimo cassetto. Nei mesi successivi, conobbi un po' meglio Dario Colusso. Ebbi modo di apprezzare la sua strategia, la sua estrema perseveranza, la sua illimitata tenacia nel perseguire gli obiettivi. Dario Colusso riesce a vincere anche quando perde. Eventuali sconfitte, digerite molto faticosamente (basti osservare la mimica del volto), diventano in seguito per lui occasione di studio, in quanto ripercorre a mente fredda tutte le mosse meticolosamente annotate sul suo taccuino. Solo dopo aver capito i propri errori riesce a trovare sollievo e trarne vantaggio per la partita successiva. 
L'ingegner Colusso è capace di tenere per ore la concentrazione alta sugli scacchi, la stessa concentrazione che per anni conserva nei suoi obiettivi della vita. In questo modo ha vinto la sua più importante partita: quella con me. 

Uno scacco alla Regina che ha capitolato pubblicamente il 10 Maggio 2009, dopo esser stata vinta da quello che considerava un qualsiasi pedone. Ho così imparato che anche un pedone può fare scacco matto. 


"Il Cavallo Nero" è rimasto poi per anni in un cassetto. Presi dai primi anni di matrimonio e duramente provati per varie vicissitudini abbiamo ceduto al più grande peccato che possa commettere un essere umano: abbandonare le proprie passioni.
Un po' per mancanza di tempo, un po' perché presi dal turbinio della nuova vita, ci siamo dimenticati che le nostre passioni sono linfa vitale. Le nostre passioni sono il salvagente che permette di galleggiare nel mare della mediocrità e dell'uniformità. Le nostre passioni mantengono vivo il nostro intelletto. E il riprenderle ci rida' vita, come testimonia lo sguardo luminoso di Dario nel riprendere a giocare a scacchi. E così con la complicità di Paolo Gensabella come supporto tecnico,  grazie al professore Paolo Pavin conosciuto sui banchi di scuola e poi ritrovato dopo tanti anni, ed infine con il contributo del fratello Andrea Colusso che ha realizzato l'illustrazione di copertina è stato possibile far rivivere questa favola dissotterrandola dal cassetto. Uno scritto scorrevole, ambientato in un mondo fantastico, sospeso nel tempo che mi ricorda vagamente il Signore degli Anelli e le Cronache di Narnia, fluido nella narrazione ma nel contempo preciso nella spiegazione delle regole scacchistiche. Una metafora calzante dai messaggi morali importanti, come la ricerca di nuove strade per raggiungere la pace.
Gli scacchi non rappresentano così solo un semplice gioco di strategia ma una vero e proprio canale comunicativo, un linguaggio che permette di affrontare le questioni più spinose liberandole dalla coltre dell'impulsività. 

Un linguaggio universale, inclusivo che permette di comunicare tra persone diverse. Ho visto Dario Colusso giocare con persone anziane, con bambini, con scacchisti professionisti e della prima ora, bianchi, neri e gialli con la stessa immutata dedizione e passione. Più di una volta ho visto Dario conquistare il cuore di emarginati e persone che vivono situazioni problematiche semplicemente offrendosi di far una "partitina" e insegnar loro le regole degli scacchi. Ho visto bimbi sorridenti che magicamente rimangono incollati alla sedia per ore nell'ascoltare questo insegnante occhialuto che incute un misto di sacro timore reverenziale e consapevolezza di essere accolti, accettati ed ascoltati. 




Ho imparato negli anni ad apprezzare il gioco degli scacchi come esercizio che permette alla mente di concentrarsi sull'attimo presente, un'attività che obbliga la mente a non accogliere pensieri inutili per focalizzarsi sul gioco per integrare ed elaborare dati diversi, aiutando a depolarizzare la testa da problemi e pensieri fissi. Insomma, una partita a scacchi può anche aiutare per superare lo stress. 


L'ambiente degli scacchisti ha un fascino tutto particolare. Gli scacchisti parlano la stessa lingua, si riconoscono da una parola, da un comportamento. Ricordo ancora quando chiesi a mio marito di accompagnarmi all'esame di Persiano. Lui e il mio docente iniziarono casualmente a parlare e a scoprirsi amanti degli scacchi e iniziarono a disquisire sulle origini storiche dello "Shatranj", il nonno Persiano degli scacchi. 



Conoscendo e frequentando sempre più assiduamente il mondo degli scacchisti mi sono resa conto che alla fine di ogni partita,  un  legame speciale unisce gli avversari che si affrontano.
Uno sguardo misto di sfida, rispetto, ammirazione e voglia di imparare e carpire i segreti dell'avversario. 

Lo stesso sguardo che trapela nella splendida foto di Dario Colusso con il suo primo grande "maestro" di scacchi: suo papà Germano.

Hayat Francesca Palumbo 

Il libro può essere ordinato in tutte le librerie e si trova anche