martedì 29 novembre 2016

D come distacco. Il dono di lasciare andare e di lasciarsi andare




Un giorno chiesi alla mia Guida,  con un tono tra lo stupito e il provocatorio:
"Padre, come hai fatto a tenermi accanto a te per tutti questi anni? "
Lui mi sorrise, e indicandomi la porta spalancata disse :
"Così"

Io non capii.
Mi domandai che cosa c'entrasse la porta.
Lui notando un certo smarrimento nei miei pensieri, mi fece un sorriso pieno di amore e mi spiegò.
"Ho sempre lasciato la porta aperta. Ho sempre lasciato che tu fossi libera di andare via. Ma nello  stesso tempo, ho sempre cercato di darti le primizie, le cose migliori che non potevi trovare oltre la porta, per farti scegliere di rimanere".
Questa è la pienezza dell'amore.
La capacità di distaccarsi dal bene proprio per fare il bene dell'amato. Lasciare la porta aperta per condurci alla scelta di rimanere.
E in un' antonimia solo apparente capii così che il distacco è la base dell'unione.
Solo distaccandomi sono integro e libero di realizzare un unione perfetta con colui che amo.
Infatti, come mi ha insegnato la mia guida, l'unione perfetta non è tra due metà, ma tra due persone complete. E per essere prima una persona completa, devo essere distaccata, trovare il mio baricentro, la mia completezza.
Solo così potrò dare le cose migliori, le primizie.
Ed echeggiano oggi, come profezia compiuta, le parole di Gibran

" Sarà forse il tempo della separazione il tempo dell'unione?"

Oggi è per me così.
Tu mi hai lasciato la porta aperta per 30 anni, ed io ti sono rimasta vicino, perché mi hai dato cose che da nessuna parte avrei trovato.
Ma la vita poi ti porta a dare ciò che hai ricevuto.
E quando è toccato a me lasciare la porta aperta,
non sono stata così brava come mi hai insegnato.
Per settimane non ho voluto lasciarti andare, dicendomi che qui saresti stato meglio, in mezzo a tanti che ti hanno sempre amato, seguito e sono la tua famiglia.
Mi sono piazzata davanti a quell'uscio, a guisa di guardia  che non lascia passare nessuno, come un cerbero che cerca di controllare i potenziali minimi movimenti. Ma mi sono dovuta arrendere. Ci siamo tutti dovuti arrendere.
Abbiamo lasciato la porta aperta, con un flebile residuo di speranza che tu rimanessi.
Ma il tuo bene non era questo. E ci siamo convinti a lasciarti andare, e a lasciarci andare, come il salice. Come il salice che si piega sotto il peso della neve, i nostri cuori si sono piegati sotto il peso del dolore.
Con tanta difficoltà, ci siamo impegnati a lasciare scorrere il fiume di grazia, fiume che non può essere arginato, fiume per il quale nessuna diga può essere predisposta.
E, paradossalmente, proprio adesso che ti abbiamo  lasciato andare, ti viviamo più vicino, lasciandoci inondare da tutto ciò che ci hai dato, senza dighe né argini



venerdì 25 novembre 2016

D come donna. Piccole riflessioni last minute sulla giornata contro la violenza sulle donne



Dedicato a tutte le Donne. Con l'augurio di riuscire a recidere la testa del loro Oloferne. Con un colpo solo e netto senza tentennamenti.  

25 Novembre. Non c'è uno spazio che non parli della giornata internazionale della violenza contro le donne. Social subissati da scarpette rosse, donne tumefatte, immagini forti. Ben venga se ciò porta a riflettere. Il problema è che spesso la riflessione su queste problematiche, finisce il 26 novembre ed è una riflessione per lo più emotiva e superficiale, che si ferma al cliché della donna picchiata a casa dal marito o sfigurata dall'ex- fidanzato. Ma questa, purtroppo, è solo la punta dell'iceberg. 
Quando inizia la violenza nella vita di una donna? Fin dal grembo materno. 
Vi sono regioni nel mondo nelle quali persiste l'usanza di aborti selettivi e infanticidi. Rimasi  molto colpita nell'apprendere nel corso dei miei studi, che diverse tribù nell'epoca pre-islamica avevano l'usanza di seppellire vive le bambine nate. Maometto condannò questa pratica, migliorando in questo modo la condizione delle donne. Riconosciamolo. 
Il numero di aborti selettivi e infanticidi nel nostro evoluto 21 esimo secolo è preoccupante.

"Con un figlio hai una discendenza, con dieci figlie non hai nulla”, dice un antico proverbio confuciano; ogni anno, ad 1 milione e mezzo di bambine è negata la vita ancora prima della nascita, dicono le statistiche più recenti. Tra aborti selettivi e infanticidi femminili è come se all’appello mancasse la popolazione di una città grande come Nairobi, ha calcolato l'ultimo Dossier in difesa redatto da Terres Des Hommes e pubblicato in occasione della Giornata Mondiale delle Bambine. Per lo più succede in Cina (57%) e in India (30%) dove, secondo le Nazioni Unite, sono 117 milioni le donne mancanti, poco meno del totale della popolazione rosa. Ma la cronaca riporta numeri preoccupanti anche in Vietnam, Pakistan e Corea del Sud; Azerbaijan, Georgia, Armenia e perfino in Montenegro e Albania (1) 


Il premio Nobel Amartya Sen che ha indagato e studiato il fenomeno, addirittura parla di "Strage di Eva" ed ha studiato il fenomeno nel suo saggio "Lost girl". (2)

Il problema è che questo trend non riguarda solo zone rurali di estrema ignoranza, ma sta approdando anche in Europa, iniziando dall'Inghilterra in cui l'aborto per motivi di genere è consentito. 
Insomma, se una donna riesce a scampare all'aborto selettivo rischia altre forme di violenze estreme, sul suo corpo, sulla sua femminilità con la piaga dell'infibulazione. 
Violenza estrema, questa pratica ancora in uso, per preservare  la "purezza", in una sorta di vera e propria castrazione. L'uso dell'infibulazione è qualche cosa di indefinibile. Una violenza fisica e psicologica sulla donna inimmaginabile, che provoca conseguenze pesanti sulla sua salute, fisica e mentale e sulla sua maternità. Sono molte le donne attiviste in questo senso che denunciano il fenomeno, tra cui Aayan Hirsi, Somala, che ha subito all'età di 5 anni questa violenza ed è scappata da un matrimonio combinato. Ha inoltre collaborato con Theo Van Gogh, assassinato da un estremista islamico per il suo cortometraggio "Submission". Da allora Aayan Hirsi.vive sotto scorta in quanto proprio sul cadavere di Theo Van Gogh è stata ritrovata una condanna a morte per lei.
Un'importante spunto di riflessione di Aayan Hirsi è quello dell'inerzia dell'occidente per quanto riguarda questa problematica e l'appello lanciato alle femministe occidentali. Insomma, se vogliamo combattere la violenza sulle donne, bisogna farlo per tutte le donne, per tutte le violenze a cui sono sottoposte, vicine e lontane. 




Se una donna riesce in certi paesi a scampare e a sopravvivere ad aborto selettivo, infanticidio ed infibulazione, non può ancora tirare un sospiro di sollievo, in quanto la violenza dei matrimoni combinati è dietro l'angolo. 

Violenza su donne, su bambine. La peggiore forma che possa esserci. (5). In uso in molti paesi. Tra cui la "laicissima" Turchia che ha un piede in Europa.





E in questo senso Amnesty International ha lanciato una campagna efficace  contro questo fenomeno. La chiave di lettura interessante è quella di calare questa realtà in contesto occidentale, per cercare di sensibilizzare il nostro Paese. Purtroppo situazioni lontane da noi non ci coinvolgono più di tanto. Una specie di flash mob in piazza del Pantheon ha simulato un matrimonio combinato. Ci si indigna se succede (per finta ) a Roma,  ma se succede lontano da noi, nulla si dice. Occhio non vede, cuore non duole. 

Campagna azzeccatissima ed incisiva. 


Insomma, il nostro pianeta è un posto molto pericoloso per tutte le donne, per svariati motivi, tra i quali quelli suddetti (5) 


A questo punto potremmo chiederci: perché tutto questo accanimento? I motivi sono innumerevoli come per esempio una forte insicurezza maschile, che porta a schiavizzare le donne riducendole a merce, o anche un pizzico di invidia per le loro potenzialità. 
Le violenze più subdole sono infatti quelle sommerse, quelle psicologiche che in certi casi minano a distruggere l'autostima della donna con la goccia cinese dello bistrattamento, delegittimazione e scoraggiamento. Quante donne subiscono questa violenza nel quotidiano! 
La vera Donna fa paura. Perché è forte. Perché combatte con una tenacia e fedeltà inaudita per quello in cui crede. La ricorrenza del 25 Novembre nasce proprio per ricordare tre donne, tre sorelle, le sorelle Mirabal assassinate per il loro impegno politico. Il 25 Novembre 1960 Patria, Minerva e Maria Teresa Mirabal, attivamente coinvolte contro la dittatura di Trujillo a Santo Domingo , vennero catturate da agenti segreti del servizio militare mentre si recarono a fare visita ai loro mariti in prigione. .Furono torturate, chiuse nell’ abitacolo della macchina nella quale viaggiavano e spinte in un precipizio, simulando un incidente stradale. Ma il coinvolgimento di questo triplice omicidio risvegliò le coscienze e da lì ad un anno la dittatura di Trujillo cadde.
Furono soprannominate le "Las tres mariposas" ("le tre farfalle") e in loro ricordo venne istituita dall'ONU la giornata contro la violenza sulle donne.








E concludo questa carrellata ricordando una donna per me speciale, che ho amato fin dalle scuole superiori, quando lessi la storia della sua vita: Artemisia Gentileschi. 
La prima donna che denunciò il suo stupratore e andò incontro a un processo. Processo nel quale da vittima diventò imputata, con l'accusa di esser donna di facili costumi, come accade anche nei giorni nostri, e subì l'umiliazione di una visita ginecologica per determinare quando fosse stata "deflorata" e subì la tortura durante la sua deposizione. Fu' infatti sottoposta alla tortura della sibilla, perché considerata poco credibile. Tortura che rischiò di impedirle di dipingere, in quanto provocava lesione alle dita. Una violenza che avrebbe privato l'umanità di una grande artista. Ma lei si prese la sua rivincita. Agostino Tassi si fece un periodo (breve) di carcere e lei nel corso dei secoli, divenne immortale nei suoi dipinti che trasudano di tutta la sua passione e la sua determinazione. Ci basti pensare alla tela di Giuditta ed Oloferne diventata quest'anno simbolo a Firenze della Giornata internazionale della violenza sulle donne. 



Alla fine di questo escursus, non ho niente contro la giornata di oggi. Solo che non vorrei si trasformasse nel solito circo mediatico. La violenza sulle donne è una problematica complessa, varia. universale. Bisogna avere uno sguardo globale. Bisogna avere la coerenza di indignarci per ogni tipo ed ogni forma di violenza che tocca le donne, in ogni parte del mondo. 
Bisogna prendere consapevolezza che per estirpare questo fenomeno culturale bisogna agire sull'educazione. Bisogna nel nostro piccolo, avere il coraggio di tagliare la testa al nostro Oloferne, piccolo o grande che sia, avere il coraggio di dire no, dalle piccole alla grandi violenze. Questo quello che auguro a tutte le donne oggi. Perché il cambiamento inizia da noi. 
Hayat Francesca Palumbo 





domenica 20 novembre 2016

R come resilienza...ovvero l'arte della cedevolezza







Dedicato a Michele... che per decenni ha cercato di insegnarmi la via della cedevolezza. Solo adesso ne intravedo il valore. Meglio tardi che mai. 



La parola resilienza è una parola sacra.  E' una chiave verso la pace interiore. 

La resilienza da dizionario è la "capacità di un materiale di assorbire un urto senza rompersi".  In psicologia è la "capacità di un individuo di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà". 
La resistenza invece è l' "azione tendente a impedire l'efficacia di un'azione contraria" . 
Resistenza e resilienza sono diverse, ma legate tra esse, in una relazione solo apparentemente antitetica. 
Il resiliente infatti, con lo scopo a lungo termine di impedire un' azione e i suoi effetti, li subisce, ma solo temporaneamente, assorbendoli, perché ha capito che contrastandoli con un'azione contraria come farebbe un resistente, rischia di spezzarsi. 
La nostra  mente e il nostro cuore mentre affrontano un avvenimento traumatico o uno  stress, sono alla continua ricerca di una nuova omeostasi, un nuovo equilibrio che dia un minimo di pace.
E qui entrano in gioco due componenti a lungo termine dalla resilienza: la pazienza e la  cedevolezza.
In un ipotetico viaggio etimologico, possiamo immaginare la resilienza come la fusione della resistenza con la pazienza, che ricordiamo deriva dal verbo latino patior che significa “subire, sopportare”, da cui “soffrire”.

Dopo l'impatto con l'urto nella fase di adattamento e rielaborazione, la resistenza deve lasciare il posto alla pazienza, alla capacità di soffrire e alla cedevolezza.

Una leggenda narra che un uomo, durante una forte nevicata, notò i rami di molti alberi grandi e forti di ciliegio che si erano spezzati sotto il peso della neve. Solo un albero aveva resistito. Era il salice. I suoi rami, flessibili e cedevoli si piegavano lasciando cadere la neve.
Davanti ad uno stesso evento, vediamo i diversi risultati del resistente ciliegio e del resiliente salice, che è riuscito a superare la nevicata con la cedevolezza dei suoi rami. 
Da qui nasce il termine JU DO  che deriva proprio da 
 柔 jū, yawara gentilezza, adattabilità, cedevolezza, morbidezza e 道 dō, michi  via
Ovvero la via della cedevolezza. 

Ma non dobbiamo pensare alla cedevolezza come ad una mancanza di forza, una passività. Cedevolezza e resilienza implicano una forte capacità strategica, implicano la capacità di riuscire a mettersi d'accordo con i propri nemici, la capacità di addomesticare le proprie ombre e di riuscire a sfruttare la forza che l'avversario vorrebbe scagliare contro di te. 
La cedevolezza implica anche una grande dose di umiltà, di riuscire a chinarsi verso la terra e l'acqua, che ci danno vita. Cedevolezza è chinarsi, per rimanere sempre più vicini alle nostre radici.

Io sono 
Salice lungo il corso dell'acqua
Mi chino verso la fonte di vita 
Quando nevica 
sento il peso e il freddo della sofferenza. 
E mi chino ancor di più
verso la fonte della vita 
per avvicinarmi alle mie calde radici 
E mentre vedo il ciliegio che si spezza 
mi arrendo lievemente al freddo e al peso.
E' solo un attimo e la neve è già scivolata via. 
Solo un attimo.
Un attimo per l'eternità. 

Hayat Francesca Palumbo 






domenica 6 novembre 2016

P come Poppy - Papavero







Ho sempre amato i papaveri.
Mi ricordano tanti momenti di gioia discreta.
Ricordo ancora la meraviglia che da bimba suscitava in me la vista di grandi prati di fiori di campo, sopratutto ginestre e papaveri, quando andavo nelle campagne di Spello con i miei genitori.
Ricordo la piccola sorella  del deserto, Magdelaine, che voleva solo papaveri sulla sua tomba per ricordare la passione e la brevità della vita.
Una volta tornata a Roma, il mio rapporto con i papaveri è continuato per via musicale. Per circa un decennio i miei più cari amici mi hanno salutano con i versi della celeberrima canzone: "Lo sai che i papaveri son alti, alti, alti, e tu sei piccolina ..."
E risentendo queste note mi riaffiorano gli affetti di queste amicizie, tra bonari scanzonamenti e la spensieratezza dei 20 anni.



Il mio cuore è traboccato di gioia al pensiero di una persona, per me speciale, che ritirando fuori i suoi ricordi d’infanzia in Libia, me l’ha canticchiata in arabo.
In un’interconnessione affettiva, il mio legame con i papaveri è aumentato.
E poi è arrivata Cristina, che nelle sue vulcaniche attività artistiche mi racconta di un suo nuovo progetto: Poppy tells. Il papavero racconta
E così, in una lunga chiacchierata un po' surreale di fine estate, siamo riuscite a declinare il papavero in tutte le sue espressioni.
Si fa presto a dire papavero. Il papavero sganciato dal solito cliché  riserva molte sorprese... Il papavero infatti può essere bianco, giallo, nero e blu (addirittura dall'Himalaya)















Il papavero ha ispirato anche degli architetti a Gerusalemme. Infatti, ci sono grandi papaveri nella Città Santa che si aprono solo se qualcuno sosta sotto di essi, per riparare i passanti dal caldo.
Il papavero protegge, vivacemente e sollecitamente ...






E arriva finalmente il giorno del papavero! E ci lasciamo portare dal suo racconto ....









Poppy tells 

Il papavero racconta

Il papavero mette in scena la sua storia, su un palcoscenico dinamico che permette di vivere anche lati nascosti e retroscena cangianti 

Il papavero colora il grigio delle storie con il colore della passione 

Il papavero abbraccia l’immensità in un balletto  che racchiude  l’universo

Il papavero unisce tutti gli aneliti con  un filo rosso,  scostante, ritorto, fluido …

Il papavero  ritorna al centro della danza della vita 


Così. la sua storia diventa le nostre storie … 


Hayat Francesca



domenica 8 maggio 2016

Madri.




Giornata assai impegnativa oggi. Giornata che si presta ad essere letta con molte chiavi diverse, giornata di riflessioni variegate ma tuttavia legate tra loro. Oggi tre eventi molto intensi si sono intersecati: la festa della mamma, la Marcia per la vita e la giornata di preghiera per Aleppo. Un denominatore comune caratterizza questi tre eventi, quello della scomodità, considerando il  trend della società odierna. 
Non sono mancate, come da copione,  le solite uscite di pseudo-rispetto per le famiglie "nuove", come nella scuola di Torino in cui la festa della Mamma è stata soppiantata dalla "festa di chi ti vuole bene". Assistiamo allo stesso circo del 19 Marzo e alla stessa disonestà intellettuale. Con questo cavallo di Troia del "non discriminare nessuno" e di "lasciare libertà di scelta ai bimbi", leitmotiv ricorrente in queste occasioni, si sta attuando un'opera assai subdola di distruzione della figura genitoriale e ciò è sempre più palese ai nostri occhi.  La distruzione della figura materna sta passando dal sistema educativo, fin dall'inizio, con i vari "genitore 1 e 2" e questa festa amorfa di "chi ti vuole bene" che svaluta totalmente il ruolo materno. 
Per non discriminare nessuno basta un po' di buon senso accompagnato magari da fantasia e creatività educativa. 
Ci sono famiglie "nuove" con due mamme? Allora i bimbi faranno due lavoretti.
Ci sono famiglie "nuove" con due papà? Allora i bimbi potranno dedicare un lavoretto ad una mamma presente nell'entourage familiare, come nonne, zie, madre surrogata.
Ci sono orfani? I bambini potranno dedicare un ricordo alla propria mamma, una poesia, una canzone, una lettera.
La mamma, infatti,  non è uno stereotipo, ma è una realtà, biologica, concreta, viscerale. Le situazioni nella vita di oggi sono sempre più variegate, allargate, sbilanciate, frutto dei cambiamenti della società, e di questo ne sono consapevole. Tuttavia, il voler demolire la festa della mamma, non porterà certo un vantaggio ai bimbi che vivono contesti "non tradizionali". A mio avviso, per un effetto paradosso, questa dissociazione dalla realtà dovuta alla negazione e alla svalutazione del ruolo materno, li emarginerà molto di più. Come si può vivere ed affrontare serenamente una situazione senza tener conto della realtà della maternità?
Essere mamma è sempre più ostacolato anche dalla società, e dalle politiche (anzi dalla mancanza di politiche) per la famiglia. Una società che non promuove e custodisce la maternità è una società destinata a morire. E qui arriviamo al secondo evento di oggi: la marcia per la vita. La mia intenzione non è quella di fare un comizio anti-abortista, ma è quello di cercare di ragionare. 
Questo è un discorso più che delicato, in cui bisogna avere grande rispetto e sensibilità, per tutti gli esseri umani coinvolti. Qui non si tratta di giudicare o di puntare il dito, ma di ragionare. Personalmente credo che l'aborto sia un grandissimo inganno culturale, portato avanti da governi che non vogliono o non sono in grado di elaborare gli aiuti necessari ai cittadini in difficoltà. Per dirla più trucida: governi che non vogliono spendere. E' infatti economicamente più conveniente (e più comodo) lasciare abortire una donna che darle i mezzi per vivere dignitosamente. E' più comodo lasciare una donna nel suo isolamento e disperazione che fornirle una rete di sostegno psicologico e di supporto materiale. E' molto più comodo per il sistema sanitario indurre una donna ad abortire che affrontare una gravidanza difficile. Troppo spesso infatti i medici consigliano l'aborto non solo per patologie "gravi", ma anche per semplici "sospetti" o eventualità, terrorizzando le future mamme. Di questo ne ho testimonianze dirette. Dobbiamo considerare inoltre il fatto che nessuno parla del nascituro, come se non esistesse e come se non avesse un'identità. Dobbiamo interrogarci anche sugli aborti selettivi, in base al sesso e alle condizioni di salute. Che differenza c'è tra questi e i genocidi tanto condannati dalla società? Il discorso è molto sfaccettato e denso di risvolti, intriso di interessi economici e realtà scomode da affrontare, come gli interessi economici che stanno dietro a tutto ciò.
Altra realtà scomoda, altra morte, altra maternità ferita: la guerra in Siria. Scomoda perché ci ricorda che non tutti i morti sono uguali. Scomoda perché in fondo non possiamo non interrogarci sul ruolo che ha il nostro paese (insieme ai fratelli europei) su questo scempio. Mi  ritornano in mente le parole della mia madrina Libanese che lavora per i rifugiati. "Ci dicono che noi mediorientali con gli immigrati stiamo cambiando e peggiorando il volto dell'Europa. Io rispondo che piuttosto è stata l'Europa a rovinare il Medio - Oriente con la vendita delle armi". Una nuova chiave di lettura per un paese pieno di morti per i quali non piange più nessuno. 
Molte e impegnative le chiavi incontrate oggi. L'ultima, la più bella, le ricapitola tutte, legando con un filo d'oro i tre eventi di oggi.
Tornando a casa incontro davanti al cancello di casa una mia vicina assai anziana che ha perso il figlio per un infarto. Amo profondamente parlare con le persone, perché hanno sempre perle da darti e mi soffermo a chiacchierare. Con le lacrime agli occhi, mi chiede, cuore a cuore "Come può una madre sopravvivere alla morte di suo figlio?"
Questo il filo conduttore, questa la chiave. Nessuna donna sopravvive alla morte del proprio figlio. Nessuna donna è la stessa dopo la morte del proprio figlio. Questo, sono convinta che valga sempre, in caso di morte naturale o aborto, per figli che possono essere appena concepiti, bambini o adulti, persi nelle più disparate circostanze della vita. Una di queste è la guerra in Siria, che sta mietendo vittime tra i bambini. Voglio ricordare  le mamme di Aleppo, nell'incertezza della vita in ogni istante. Quanto può essere grande il dolore di una madre che non può dare ai suoi figli la certezza di una vita sicura, protetta, nell'impotenza di preservare e custodire il bene più grande che ella stessa ha donato loro: la vita.  
E concludo abbracciando tutte le mamme:
Abbraccio la mia mamma che mi ha sempre incoraggiato in tutto, 
abbraccio le mamme che hanno avuto aborti spontanei, nel dolore della perdita di un figlio desiderato e atteso, 
abbraccio le mamme che hanno abortito per mancanza di sostegno, economico ed affettivo, che si sono sentite obbligate a questa scelta,
abbraccio le mamme che hanno abortito figli con malattie perché spaventate o fuorviate da medici, o non supportate dai compagni,
abbraccio le mamme che semplicemente hanno scelto di abortire perché non volevano essere mamme,
abbraccio tutte le mamme che hanno perso i loro figli a causa di malattie, incidenti e morti improvvise,  
abbraccio tutte le mamme di Aleppo, nella speranza che questa strage di figli possa presto finire, 
abbraccio tutte le mamme, indistintamente  perché hanno albergato in loro una scintilla di vita, anche solo per un attimo, e per questo saranno mamme per sempre.


(1)
http://www.lastampa.it/2016/05/07/cronaca/la-scuola-di-torino-che-ha-abolito-la-festa-della-mamma-JZ8hpdWsOtfLT7wmG7UKEJ/pagina.html

giovedì 24 marzo 2016

Giornata dei martiri della fede


Giornata mondiale dei martiri della fede.
Chi di voi lo sapeva? Io no. L'ho saputo per caso. E, all'indomani degli attentati d Bruxelles, mi sono interrogata. Come al solito cercando una chiave.
La radice della parola martire in greco significa testimone. Testimone che non abiura la propria fede nonostante tutto. Quindi, ogni Cristiano vero e sincero, in quanto testimone è destinato ad essere martire. Non è che sia proprio una prospettiva incoraggiante, ma se ci pensiamo bene è così.
Nell'immaginario collettivo i martiri cristiani sono ormai acqua quasi passata, sbrindellati dai leoni nelle arene come siamo stati abituati a vedere nei vari film d'epoca. Ma non sono da meno, per quanto sono stati numerosi, i martiri di questo ultimo secolo. 
Sacerdoti uccisi per il loro impegno sociale, come Mons. Romero, di cui proprio oggi ricorre l'anniversario della morte, o i nostri don Diana e don Puglisi. Sacerdoti e monaci uccisi per odio alla fede, vittime a quanto ne sappiamo, di fondamentalisti, in condizioni ancora da appurare. 
Ricordiamo in Algeria i trappisti di Tibhirine, (1) la cui storia è stata resa nota dal meraviglioso film "Uomini di Dio" e Mons. Claverie, vescovo di Orano, ucciso pochi mesi dopo. 
Fare una lista completa non è possibile.. ci sono sacerdoti uccisi per semplici atti di violenza, per rapine, sacerdoti che hanno difeso da profanazione Ostie e Chiese a prezzo della loro vita. 
Ma non solo sacerdoti. Anche persone semplici. Famiglie perseguitate e uccise, come è successo in India, senza dimenticare la vicenda di Asia Bibi, ancora in prigione, e la difficile condizione dei Cristiani in Pakistan. 

 (1)

Ma, ovviamente non tutti i morti sono uguali. Perché, in fin dei conti, questi martiri sono scomodi. Scomodi perché ci ricordano che, nonostante Auschwitz e i numerosi genocidi quasi dimenticati (ci basti pensare al genocidio armeno), numerosi Cristiani vengono ancora uccisi oggi come per esempio in Siria e Nigeria. Una marea umana. Che viene a rompere la pia illusione che vada tutto bene e che l'umanità abbia fatto chissà quali conquiste sui diritti civili. 
Un silenzio assordante. Nessuno piange per loro. Nessuno si interroga più. Come se fosse una cosa normale. L'uomo di oggi si sta assuefacendo alle cose più abominevoli. Un po' perché ragioniamo alla "Tanto succede lontano da noi" " E' un paese da sempre in conflitto" " Mica possiamo piangere tutti i morti" " Tanto qui da noi c'è civiltà queste cose non succedono". E ci forniamo alibi ineccepibili. Forse nell'intento di tranquillizzarci e di esorcizzare la paura. 
Che strani tipi siamo. Ci battiamo tanto per l'uguaglianza dei sessi ma non consideriamo uguali tutti i morti. Da riflettere.
E inoltre, dovremo considerare che magari dietro alle decapitazione e alla strage dei Siriani Cristiani (2)  forse qualche piccola responsabilità potrebbe avercela la nostra "sicura" Europa.
Concludo ricordando le quattro suore di Madre Teresa, uccise in Yemen e Padre Tom ancora nelle mani dei rapitori.  E non dimentichiamoci nemmeno di padre dall' Oglio (3) di cui non si parla più. Nella speranza che vengano ricordati e sopratutto che venga fatto qualcosa di concreto per la loro liberazione, anche a livello internazionale. Forse la mia è una pia illusione, io la chiamo flebile speranza. Chi crede, può pregare. Chi non crede potrà interrogarsi su tutti questi fatti dei quali nessuno parla e prendere consapevolezza di una realtà che ci viene taciuta. 

 (2)
 (3)





lunedì 21 marzo 2016

Prima di tutto persone. Riflessioni last minute sulla giornata internazionale sulla sindrome di Down.



Oggi giornata internazionale della sindrome di Down. Ma, facciamo un piccolo test: quanti tra di noi sanno esattamente chi ha scoperto l'origine della sindrome di Down? La domanda è solo apparentemente banale, in quando anche i sassi sanno che questa malattia è indissolubilmente legata al medico che per primo la descrisse, John Down, nel lontano 1866.
Down utilizzò il termine "mongoloide" per via della somiglianza nei tratti somatici con la razza mongola. Piccola curiosità: l'O.M.S. ha abbandonato questo termine nel 1965 su richiesta del suo delegato mongolo. 
Ma chi è stato a scoprire l'origine di questa malattia? Di certo non il Dott. Down, in quanto la conoscenza sui meccanismi genetici era ancora in una fase primordiale (ricordiamo, giusto per un ordine di grandezza temporale che Mendel espose i risultati dei suoi famosissimi lavori per a prima volta nel 1865). 
Quell'uomo con l'aria da nonno tenero circondato da quattro bimbi Down è il principale scienziato che non solo ha scoperto l'origine della sindrome di Down ma ha anche dedicato tutte le sue forze come scienziato, come uomo e come credente al servizio di questi malati. 
Eppure in pochi conoscono la sua storia. Io per prima, nonostante una laurea in biologia e due master sulla disabilità, non ho mai incontrato su libri e pubblicazioni il suo nome. Singolare coincidenza? Forse. Le cose sono due: o sono stata una studentessa molto distratta e superficiale, o quest'uomo deve aver subito una sorta di boicottaggio negli ambienti universitari e non solo. 
Ho conosciuto la storia di Jerome Lejeune quasi per caso, in una mostra fotografica a Cremona. Ricordo che rimasi a dir poco estasiata, sia per la sua vicenda scientifica che umana. Dal punto di vista puramente scientifico, un curriculum davanti al quale inchinarsi. Numerosissimi riconoscimenti e incarichi importanti sui quali non mi voglio dilungare ma chi vuole potrà approfondire (1) (2).
Un grandissimo scienziato, che non solo ha dato un contributo essenziale sulla sindrome di Down e la sindrome del grido del gatto, ma anche sulle anomalie cromosomiche indotte da radiazioni.
Uno scienziato boicottato per le sue posizioni bioetiche. Uno scienziato contro l'aborto, che usando esclusivamente argomentazioni mediche e scientifiche, e citando a memoria il giuramento di Ippocrate (400 anni prima di Cristo..) ha affrontato in televisione Emile Baulieu, l'inventore della RU 486, la pillola abortiva. Ma non mi voglio dilungare troppo, perché il tema di oggi sono le persone Down  ma credo proprio che nel futuro tornerò a parlare di Lejeune.
E' luogo comune che questi ragazzi, come tanti altri disabili, non abbiamo futuro. Quante volte mi sono sentita dire "non ti affannare, tanto non capisce" oppure "ma che potrà mai fare?". Tante volte mi sono trattenuta. Tante volte, invece,  mi sono interrogata  rischiando di rimanere invischiata da una mentalità distruttiva fin troppo diffusa e radicata. Ma per fortuna, la vita ti riporta alla speranza quando ti sforzi di guardarti intorno con un raggio un po' più ampio e magari usando chiavi diverse.
Ogni persona, se opportunamente stimolata e supportata può far fruttare le proprie capacità, dar luogo alle proprie aspirazione, realizzare i propri desideri. In una parola vivere.
Ci sono persone Down che ci sono riuscite. Ci sono persone Down felici.
Ne voglio citare qualcuna, perché il conoscere realtà positive e successi può essere di incoraggiamento per altri.
Giusi Spagnolo, Gianluca Spaziani e Francesco Aglio sono tre ragazzi Down che si sono laureati qui in Italia.
Ci sono ragazzi Down che riescono, ovviamente supportati da cooperative, ad intraprendere un'attività, come la locanda dei Girasoli qui a Roma.
Ci sono ragazzi Down che ballano e che fanno teatro.



Ci sono ragazzi Down che hanno inclinazione per la musica e per lo sport. Ci sono anche ragazzi "Down prodigio", come Emanuel Bishop, che parla 3 lingue, suona il violino e pratica nuoto e ciclismo. Ci sono ragazzi Down che riescono a dirigere orchestre, a vincere medaglie, insomma a vivere la loro vita.
Perché prima di essere malati, sono persone. Ed ognuna di esse, ha il proprio carattere, pregi e difetti, la propria inclinazione, il proprio sogno da rincorrere, la propria sfera affettivo-emotiva da affrontare, la propria sessualità da saper gestire. Come ogni persona che vive una vita dignitosa.



Una ragazza Down per me veramente speciale, è Cristina Acquistapace, che ha deciso di donarsi a Dio e di mettere a frutto i suoi talenti per gli altri. Con una semplicità estrema, parla della sua condizione e della sua scelta con una coerenza disarmante. Parla dell'amore, della sofferenza con una lucidità e una profondità senza pari . Una capacità di analisi fuori dal comune.
Consiglio a tutti di guardare l'intervista integrale (4) che ha rilasciato a TV2000, raccontando la sua vocazione e il suo percorso di vita.  Per me un insegnamento. Concludo con una sua frase:

" Prima di amare qualcuno, amate voi stessi"

Per chi volesse approfondire ...

(1) notizie su Jerome Leujeune 

(2)

sabato 19 marzo 2016

Festa del papà. Riflessioni last minute.














                 




Festa del papà. Un giorno impegnativo, che si presta a numerose riflessioni.
Già da qualche giorno circolano nei vari social le polemiche sui lavoretti dei bimbi a scuola. Notizie bomba, confermate e smentite, di abolizioni della festa del papà per non discriminare i bimbi che vivono in un contesto omogenitoriale. 
Inizio ad essere logora di polemiche che non portano a nulla. Con un minimo di buon senso si possono veramente risparmiare energie vitali e sofferenze inutili. Usare un pochino di sano buon senso potrebbe essere una soluzione. Consideriamo le situazioni omogenitoriali con due donne (questo il problema di oggi) il cui il figlio/a di una delle due vive con mamma e compagna. Nessun papà presente. 
Spero per questi bimbi che nel loro ambiente di vita, possano tuttavia conoscere un portatore Y al quale dedicare un pensiero, un disegno, un lavoretto. Un nonno, un fratello un cugino, un amico di famiglia che possa fare da punto di riferimento. Oppure devo pensare che i bimbi in questione vivano in un ambiente dove gli uomini sono banditi, in un clima di "maschiofobia" dove si vuole epurare l'ambiente dalla componente maschile? Spero di no per loro. Perché non sarebbe una cosa né ragionevole né equilibrata, e non sarebbe un bene per i bimbi. Già ho fortissimi dubbi che vivere in un contesto omogenitoriale sia un bene per loro. Figuriamoci in un contesto strettamente femminile senza neanche una figura maschile.
Volenti o nolenti gli uomini ci sono su questa terra. Sulle querelle della festa del papà una soluzione ragionevole si può trovare, senza discriminare e penalizzare nessuno, neanche chi vuole festeggiare il proprio papà.
Tra i vari post incontrati, uno affermava il fatto che famiglie omogenitoriali non si sono mai sognate di chiedere alla scuola di eliminare le iniziative per la festa del papà ma che questa era una decisione autonoma della scuola e delle maestre. Peggio mi sento. Stile Renzi, che per compiacere il presidente Iraniano Rohani, copre le nudità delle statue dei musei Capitolini. Questo atteggiamento di "prevenzione di potenziali disagi e/o discriminazioni" mi sembra immaturo, strumentale e misero, perché non fa altro che buttare benzina sul fuoco ed esasperare gli animi di tutti. Passiamo oltre. 
Alla base del disagio per questa festa, ci sono tante altre realtà. Facciamo lo sforzo di uscire dalla nostra bolla e guardarci intorno. Ci sono realtà dolorose di bimbi senza il loro papà, papà che hanno abbandonato i loro figli e la famiglia per vari motivi (un'altra donna, un altro uomo, la disabilità del figlio stesso, ecc.). Ci sono papà morti improvvisamente, dopo una lunga malattia, o in situazioni ancora da chiarire. Ci sono papà talmente immaturi, ancora nella fase adolescenziale, che hanno devastato psicologicamente figli e compagne. E allora questa festa può essere un macigno immane. Ma forse è possibile cambiare chiave e cercare di affrontare la realtà vivendo questa festa come occasione. Occasione per ricordare le cose belle che hanno lasciato i papà che sono in cielo. La loro eredità, i loro insegnamenti positivi, come semi che dobbiamo far fiorire. 
Occasione per fare il punto sul rapporto, magari difficile e conflittuale che abbiamo avuto con loro. Nella consapevolezza che un papà è una persona umana e le persone non ti possono dare quello che non hanno. Non per cattiveria, ma semplicemente perché non ce l'hanno. Cercare di rielaborare in chiave positiva il proprio rapporto con il papà credo che sia una componente fondamentale della propria crescita. Magari uno poi non ci riesce, ma il fatto di averci provato libera mente e cuore. Occorrono però, tempo, energia, volontà, aiuto. Ho conosciuto donne eccezionali, devastate dai mariti che per il bene dei loro figli, invece di metterli contro i padri sono riuscite ad aiutare i propri figli a costruire rapporti tutto sommato sani con il proprio padre. Succede anche questo, grazie al cielo.
Foto Nino Jesus Orbeta/Philippine Daily Inquirer














Poi ci sono papà davanti ai quali io mi inchino. Papà che sacrificano tutto per i loro figli. Papà che come san Giuseppe, che si prendono cura della loro famiglia in tutto, papà che scappano da guerre e calamità per salvare la vita dei propri figli e che si tolgono il pane di bocca per nutrirli. Papà innamorati dei loro figli disabili che fanno tutto per loro. Papà che combattono ogni giorno per la propria famiglia spaccando il centesimo per arrivare a fine mese. Papà vedovi che cercano di colmare con tutto l'affetto un vuoto inestinguibile. 
Papà non aiutati da nessuno. Nell'eroismo quotidiano.
A tutti i papà va il mio augurio. Augurio di poter aver la consapevolezza del proprio ruolo insostituibile e di poter provvedere a tutti i bisogni (leciti) dei propri figli, materiali, spirituali e affettivi. Auguro di poter sostenere la corsa dei propri figli nelle difficoltà della vita, come questi due papà speciali. Buona visione








venerdì 18 marzo 2016

Chi sono Io


Mi presento. Il mio primo nome è Hayat. In arabo significa Vita. Pochi eletti mi chiamano con il mio primo nome. Per gli altri sono Francesca. Sui documenti sono Hayat Francesca Palumbo.
Ho vissuto in Algeria fino agli otto anni, in un clima di semplicità (obbligata), spensieratezza e incontri speciali che sono stati fondamenta della mia vita. 
Da piccola volevo fare la scrittrice. Volevo fare anche la paleontologa. Non avevo minimamente idea di cosa fosse ma amavo il suono ridondante di questa parola. In seguito ero convinta che avrei fatto l'antropologa, forse anticipando il grande amore che, nonostante tutto, nutro ancora per il genere umano e le sue radici. 
Ho compiuto studi scientifici presso la scuola francese immersa in un ambiente multilinguistico e multiculturale.
E non potevo fare altro che la facoltà di biologia seguendo la traccia "nomen omen".
La mia laurea è una delle poche cose di cui vado veramente fiera anche perché l'anno prima della tesi volevo mollare tutto. Le cose migliori della mia vita hanno questo leitmotiv.
Dopo la laurea sono riuscita ad entrare nella famigerata Ssis per poter conseguire l'abilitazione all'insegnamento. Il mio obiettivo di allora? Instillare alle nuove generazioni l'amore per la vita usando il cavallo di Troia della biologia. 
Così era stato per me durante i miei studi universitari. Sfido chiunque a studiare un libro di istologia o citologia senza commuoversi per la perfezione del microcosmo di cui siamo fatti. Lo scontro con la realtà è stato impegnativo. Ma oltre a far volare i banchi e minacciare i professori, ho sempre pensato che i ragazzi siano capaci di grandi cose...basta trovare la giusta strategia per  tirarle fuori.  Per una scommessa con una mia cara amica sono riuscita a entrare nel corso di specializzazione per il sostegno. Ancora ricordo il dialogo scanzonato in un clima  di allegra pseudo-competizione con il qule decidemmo di fare domanda: "A Francè, c'è questo bando per titoli...Scommettiamo che ci rientriamo? " " A Stefà... Chettedevodì...Famolo... Vediamo chi si colloca più in alto...". Rientrate tutte e due. Ovviamente tra i primi posti. E si è aperto un mondo a me sconosciuto. Il mondo del sostegno scolastico. Un mondo difficile, contraddittorio, conflittuale. Un mondo dove se non sei più che equilibrata rischi di spezzarti sotto il peso della sofferenza inevitabile che ti circonda e l'indifferenza ottusa di colleghi che non riescono proprio ad affrontare la realtà umana dell'handicap. E ti prosciughi senza accorgertene, facendo la fine della rana bollita. Ma nonostante tutto è il mestiere più bello. Finché reggo spero di farlo il meno peggio possibile. Oltre il lavoro cerco di tener su la mia famigliola. Ho una famiglia essenziale. Io e il mio sposo. Sposati da quasi 7 anni, abbiamo avuto un inizio traumatico e un proseguimento ancor più conflittuale. Ma ci siamo ancora. Allegramente e tenacemente. Non solo per amore ma anche, detta alla romana "pe' tigna", con la fiera determinazione di due segni con le corna. Un toro e un ariete non possono far altro che scornarsi. Ma in quanto a determinazione mio marito non ha pari. Dario è un mostro di tenacia e testardaggine, oltre che essere un giocatore di scacchi. Mi ha conquistata così, con un gioco strategico durato anni tra i miei proclami di non luogo a procedere e i suoi di perseveranza a prescindere. Siamo due teste particolari piene di contraddizioni, limiti e difetti. Ma la cosa che ci unisce è la buona volontà nel migliorare.
Contrariamente alla Cirinnà (consentitemi la battuta), noi non abbiamo figli non umani.
Non riusciamo proprio a fare nostra la compensazione affettiva di cani, gatti e similari. L'amore che ti può dare un essere umano è insostituibile e non ci sono surrogati che tengano. Dario con estrema autoironia dice, sempre scherzando, che in casa abbiamo già il nostro zoo, tutto concentrato in una persona: lui! A volte orso, a volte scimmione, a volte cinghiale, a volte ippopotamo (soprattutto quando si lava in bagno). Ci divertiamo con poco: nomignoli e battute scherzose. Frequentiamo persone rigorosamente umane e la nostra casa è frequentata da amici, famiglie, bimbi e anziani, ricordando le radici della mia famiglia di origine, numerosissima. Non c'è vita senza relazione, comunicazione e condivisione. E noi siamo sempre pronti ad aprirci. Ma a una sola condizione ferrea: che ci sia sempre in massimo rispetto nei rapporti senza ingerenze affettive o prosciugamenti emotivi. Una delle nostre sfide più importanti: costruire rapporti equilibrati e costruttivi, nei quali si possano condividere e comunicare chiavi che portano alla crescita e alla scoperta della bellezza della vita. Il resto lo scoprirete strada facendo.

Foto con maglietta "Who am I" gentilmente concessa dallo studio fotografico "Nuvola Bionda".